CARCERI, CIMITERI DEI VIVI E LUOGHI DI TORTURA: CARO TRAVAGLIO, VIENI A VEDERE SE NON C’È SOVRAFFOLLAMENTO
27 luglio 2024: Sergio D’Elia su L’Unità del 27 luglio 2024
“In te c’è la passione del male e non c’è l’amore del vero.” Così Marco Pannella una volta ti disse, aggiungendo: “sei un poeta del racconto delle varie forme di merda”. Caro Marco (Travaglio), se vuoi vedere la terra del male che ti appassiona e la sostanza maleodorante nella quale sono immersi i “malvagi”, per te, irredimibili fino alla morte, dovresti venire con noi in quei luoghi dove l’altro Marco (Pannella) andava a compiere laicamente, cento volte all’anno, quella sesta opera di misericordia corporale che ogni buon cristiano come te dovrebbe compiere almeno una volta nella vita. Vieni con noi a “visitare i carcerati”. Scopriresti che il vero male non sta nei palazzi del potere ma nei luoghi dove il potere ha concentrato tutto quello che di incivile, inumano e degradante nella storia dell’umanità è stato abolito proprio perché incivile, inumano e degradante: le stanze della tortura, i bracci della morte, i manicomi, i lazzaretti. Vieni con noi a visitare le carceri. Scopriresti l’amore del vero: la realtà, il sapore e l’odore della “certezza della pena”. Che idiozia una tale certezza! L’unica certezza che la nostra Costituzione prevede nelle pene, è la loro incertezza e flessibilità. Al contrario di come la vedi tu, il fine della pena è la sua fine anticipata. Comunque, vieni a vedere i luoghi di pena. Scopriresti che fanno letteralmente pena, arrecano danno, infliggono dolore e sofferenze gravi a tutti. Torturano guardie e ladri. Nei luoghi detti di privazione della libertà, vedresti che la privazione è di tutto: della vita, della salute, del senno e dei più significativi rapporti umani. E degli stessi sensi umani fondamentali: la vista, il tatto, l’udito, l’olfatto e il gusto. Scopriresti che le vittime, i suicidati, gli ammalati, gli impazziti, gli accecati, i sordi non sono solo i detenuti ma anche i “detenenti”, come li chiamava Marco (Pannella). Mentre scrivo, a Rebibbia, si è tolto la vita un altro detenuto, il cinquantanovesimo di questo 2024, un anno orribile per lo stato di diritto e di vita di un Paese che passa per esserne la culla. A questi vanno aggiunti i suicidi di sei agenti della polizia penitenziaria. Altri 67 detenuti sono morti di “morte naturale”. Negli ultimi 10 anni, sono 615 le persone detenute che si sono tolte la vita, altre 1.483 sono morte di malattia e patimenti gravi. Il totale fa 2.095. Non può essere questo il modo, incivile e inumano, di concedere la “liberazione anticipata” delle persone private della libertà: la liberazione dal carcere tramite suicidio o per “cause naturali”. Nulla di quel che accade in un carcere può essere definito “naturale”, il carcere è un luogo di per sé contro natura: la natura umana è incompatibile con uno stato di privazione della libertà, che poi diventa di privazione di tutto. In carcere è negato il sentimento umano fondamentale per cui vale la pena vivere. Per mancanza di amore ci si toglie la vita, si ferma il cuore. “Cimiteri dei vivi” chiamava le carceri Filippo Turati all’inizio del secolo scorso. Nulla è cambiato, questo è il carcere ancora oggi! “Bisogna aver visto!” diceva Piero Calamandrei per conoscere e deliberare sulla realtà dei luoghi di pena. Vieni a vedere con noi se davvero come dici tu non esiste sovraffollamento nelle carceri del nostro paese. Tu fai calcoli fasulli e dici: ci sono nove metri quadri a testa mentre negli altri paesi ce ne sono tre. Non sai che al DAP c’è un “applicativo”, una sorta di allarme che scatta quando una cella va sotto i tre metri quadri di spazio minimo vitale per ogni detenuto. L’applicativo segnala anche i detenuti che vivono tra i tre e quattro metri quadri, perché se in una cella mancano oltre allo spazio anche aria, luce, acqua calda, vita all’aperto, anche stare in quattro metri quadri costituisce trattamento inumano e degradante. Tre o quattro metri quadri, Travaglio, non nove, nei quali tu evidentemente non consideri che c’è anche lo spazio occupato dal letto, dai sanitari e da altri ingombri. A conti fatti, ci sono 14 mila detenuti in più rispetto ai 47 mila posti detti regolamentari secondo i parametri già restrittivi della Corte europea e dalla Corte di Cassazione italiana. In tali condizioni, sono torturati detenuti e detenenti, vittime gli uni e gli altri di una struttura violenta, patogena, mortifera che infligge vere e proprie pene corporali, quelle che si usavano nel medioevo e che poi abbiamo abolito perché incivili. Sei appassionato dal male e ossessionato dai colletti bianchi. Vieni con noi a visitare i luoghi dove abita Caino e dove, secondo te, c’è ancora posto per altri Caini. Vieni a vedere come vivono i loro custodi, dove lavorano i colletti bianchi della polizia penitenziaria. La pena che vedrai, respirerai e toccherai con mano, è contagiosa. Contagerà anche te, come contagia e imprigiona anche il “carceriere” costretto in un luogo malsano, pericoloso e forzato a un lavoro usurante e, spesso, fino a un tempo di straordinario che per la polizia penitenziaria (soltanto) non è facoltativo ma obbligatorio. Tieni conto che per 14 mila detenuti in più ci sono 18 mila detenenti in meno rispetto alla pianta organica prevista. Ben altro ci vorrebbe che una liberazione anticipata speciale che Nessuno tocchi Caino con Rita Bernardini e Roberto Giachetti hanno proposto al parlamento per ridurre il carico intollerabile di corpi e di dolore che grava su tutta la comunità penitenziaria. Come premio minimo, non per tutti – non fare il furbo, Travaglio! – ma solo per i carcerati che hanno tenuto una buona condotta nonostante la condizione strutturale di tortura cui sono stati sottoposti. E non per un giorno, non per un mese, non per un semestre, ma per anni! Libera anche, Travaglio, la mente e la penna da altre fesserie. Non puoi dire che chi scende sotto i 4 anni di pena da scontare, va ai domiciliari o ai servizi sociali, perché non esiste nessun automatismo, si tratta di misure decise sempre da magistrati di sorveglianza che, data l’esiguità del numero – appena 250 per oltre 61.000 detenuti – stentano finanche a leggere le varie istanze. Pensi che un mese in più all’anno di liberazione anticipata o qualche anno in detenzione domiciliare, costituiscano una resa dello Stato nei confronti di Caino, un tradimento delle vittime di reato, una breccia intollerabile nel muro della certezza della pena. Pensi questo, ma poi accetti rese, tradimenti e brecce ben più gravi. Il sovraffollamento e i suicidi in carcere cosa sono? La tortura di Stato ai danni di persone sottoposte alla sua custodia e il maltrattamento degli stessi custodi, sono fatti ben più gravi! Non è una esagerazione. Per il sovraffollamento, nel 2013, con la sentenza Torreggiani la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per la violazione dell’articolo 3 della convenzione, per intenderci, quella che vieta la tortura e i trattamenti inumani e degradanti. La cifra del reato è in questi numeri: dal 2018 al 2023 oltre 24.000 detenuti, 4.700 nel solo 2023, si sono visti riconoscere rimedi risarcitori per le condizioni in cui sono stati costretti a vivere. Allora, Travaglio, ti chiedo: non ti importano i diritti umani dei detenuti? La vita dei detenuti non vale niente? Preoccupati, allora, occupati insieme a noi, dei diritti e della vita dei servitori dello Stato, dei direttori, degli educatori, dei poliziotti penitenziari vittime anche loro del degrado delle carceri, costretti a turni massacranti, a lavorare in luoghi malsani e violenti, patogeni e criminogeni. Noi diciamo: beati i costruttori di pace e di speranza nelle carceri. Noi proponiamo una Santa Alleanza tra detenuti e detenenti. D’altronde, il motto di Nessuno tocchi Caino è “Spes contra spem”. “Despondere spem munus nostrum”, è quello del corpo della polizia penitenziaria. Noi, non guardie e ladri, ma parti diverse di un insieme, quella comunità penitenziaria che Marco (Pannella) amava e dalla quale era amato, possiamo essere speranza al di là di ogni ragionevole speranza. Possiamo seminare la speranza in terre dove regna la disperazione, possiamo compiere l’opera di misericordia corporale in un luogo dove si infligge la pena corporale. In tal modo, possiamo contribuire a salvare molte vite nelle carceri del nostro Paese. Dalla solitudine, dall’angoscia e dall’impiccagione.
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