APPELLO ALLE NAZIONI UNITE
PER LA MORATORIA DELLE ESECUZIONI CAPITALI e la fine dei “Segreti di Stato” sulla pena di morte
Noi, sottoscritti, siamo fermamente convinti che l’abolizione della pena di morte non sia solo una necessità dell’individuo, il rafforzamento ulteriore della sua sfera di inviolabilità, ma sempre più una necessità storica e universale, il punto di approdo della nostra epoca, il punto di incontro di civiltà diverse. “Nessuno tocchi Caino”, è scritto nel Libro, e questo antico imperativo per noi vuol dire che lo Stato non può disporre della vita dei suoi cittadini.
Con il voto del 18 dicembre 2007, ribadito a dicembre 2008 e dicembre 2010, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sulla Moratoria Universale delle esecuzioni capitali, abbiamo raggiunto un obiettivo di portata storica e di grande rilievo umano e civile per il mondo intero.
Con questo voto, le Nazioni Unite hanno stabilito che l’abolizione della pena di morte “contribuisce al rafforzamento della dignità umana e al progresso dei diritti dell’uomo” e hanno chiesto agli Stati che ancora la praticano di istituire una “moratoria della pena di morte in vista della sua completa abolizione.”
Occorre ora evitare che questo successo sia presto consumato e logorato e, per questo, bisogna raddoppiare gli sforzi per dare applicazione concreta alla richiesta delle Nazioni Unite e arrivare, attraverso le moratorie, al superamento definitivo dell’anacronismo della pena capitale.
A tal fine, chiediamo al Segretario Generale dell’ONU di istituire la figura di un Inviato Speciale che abbia il compito non solo di monitorare la situazione Paese per Paese esigendo che siano aboliti tutti i “segreti di Stato” sulla pena di morte che sono la causa prima di un maggior numero di esecuzioni nel mondo, ma anche di continuare a persuadere chi ancora la pratica ad adottare la linea stabilita dalle Nazioni Unite: “moratoria delle esecuzioni, in vista dell’abolizione definitiva della pena di morte.”
Perché lo Stato cessi di essere Caino, responsabile e testimone di quella perversione secondo cui la vita si difende infliggendo la morte.
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