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Manifestazione a Taiwan
Manifestazione a Taiwan
LA ‘DEMOCRATICA E PROGRESSISTA’ TAIWAN RIPRENDE LE ESECUZIONI

25 gennaio 2025:

Sergio D’Elia su l’Unità del 25 gennaio 2025

Taiwan è una piccola isola immersa nel mar della Cina, una grande montagna della resistenza liberale all’impero dispotico continentale. Davide e Golia. Democrazia e Dittatura. Stato di Diritto e Potere assoluto dello Stato.
La differenza è abissale, ma anche la riprova che un modo d’essere ordinato e orientato ai valori umani universali può avere nel tempo, speriamo ancora, la meglio sul disordine costituito e centrato sul potere. La Cina può fare di Taiwan un sol boccone solo se il grande avrà assimilato il piccolo, quando il piccolo sarà simile al grande. L’irriducibile differenza di valori è la forza vitale della resistenza al regime violento. Ammainare le proprie nobili bandiere, quelle di grazia e giustizia, di diritto e libertà, mette a repentaglio insieme ai propri grandi principi anche la propria piccola indipendenza nazionale.
Per questo è grave quel che è accaduto qualche giorno fa nella Repubblica di Cina. La rottura di una tregua che durava da cinque anni nella guerra di Taiwan ai suoi cittadini Caini. Un detenuto di 32 anni, Huang Lin-kai, è stato giustiziato nella prigione di Taipei per un duplice omicidio commesso nel 2013. È stata la prima esecuzione nel Paese dopo cinque anni di moratoria di fatto. Lo stop improvviso sulla via dell’abolizione della pena capitale è stato siglato con un tratto di penna e l’autografo del ministro della Giustizia Cheng Ming-chien.
Il condannato è stato fucilato nel giro di poche ore dalla firma dell’ordine di esecuzione. La prassi, lo stile, il metodo sono gli stessi in voga nell’antitetico sistema di giustizia cinese. Il segreto di stato, l’attacco a sorpresa, la fucilazione. È chiaro, il paragone col gigante cinese non regge se consideriamo il numero dei clandestini della pena di morte, vittime dei plotoni di esecuzione. Se Taiwan ne tiene 36 nel braccio della morte, la Cina ne nasconde 36.000. Se il primo ne condanna 10, la seconda ne condanna 10.000. Se la piccola isola ne fucila 1 ogni tanto, l’immenso continente ne fucila 2.000 all’anno.
Ma Taiwan è uno Stato di diritto, la Cina uno stato dove il diritto è volto al torto, fino alla tortura. Ci deve pur essere una differenza, anche nell’aberrante pratica della pena di morte! Nel caso di Huang Lin-kai, tutte le garanzie costituzionali e internazionali sull’uso della pena di morte sono state da Taiwan violate. Gli avvocati non hanno avuto il tempo di fare un ultimo, disperato tentativo di salvargli la vita. I famigliari non hanno avuto il tempo di portargli un ultimo, estremo saluto. Il 20 settembre 2024, la Corte costituzionale ha stabilito che la pena di morte può essere legittimamente imposta solo a seguito di sentenze emesse dai giudici all’unanimità e che tale informazione deve essere divulgata dall’accusa. Il suo avvocato non ha mai saputo se la decisione mortale nel caso di Lin-kai era stata unanime. L’esecuzione, nascosta a difensori e parenti del condannato, è avvenuta mentre era ancora in sospeso la richiesta di saperlo.
L’ultima esecuzione di un prigioniero a Taiwan prima di quella di Huang è avvenuta il 1° aprile 2020. È stata la prima da quando il presidente Lai Ching-te del Partito Democratico Progressista (DPP) è entrato in carica a maggio 2024. In precedenza, due detenuti nel braccio della morte erano stati giustiziati durante i due mandati (2016-2024) dell’allora presidente Tsai Ing-wen del DPP. Dieci anni di governo dei “democratici progressisti”, tre esecuzioni. La conferma che spesso i nomi dei partiti esprimono l’opposto di quello che fanno. Certo, l’opposizione Kuomintang ha fatto di peggio. Durante l’amministrazione 2008-2016 del suo presidente Ma Ying-jeou, sono stati giustiziati 33 detenuti.
Ma il Kuomintang, come è noto, è da sempre estremamente contrario all’indipendenza taiwanese, è uno strenuo sostenitore dell’identità cinese degli abitanti dell’isola e come i cinesi del continente è anche a favore della pena di morte. Gli argomenti sono identici: l’esecuzione della pena capitale è prevista dalla legge ed è quindi un dovere ineludibile del governo fucilare un assassino. Il piatto della bilancia dev’essere sempre in equilibrio, chi sbaglia paga, chi ha ucciso dev’essere ucciso… per rendere giustizia alle vittime e alle loro famiglie. Come nel caso di Huang Lin-kai, autore di duplice omicidio. Lo hanno costretto a sdraiarsi a faccia in giù, lo hanno sedato e poi lo hanno sparato alle spalle, all’altezza del cuore. È avvenuto nel centro di detenzione della “democratica e progressista” Taipei. Come avviene ogni giorno nelle carceri della tirannica madre patria cinese.

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