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FINALMENTE UN ATTO DI UMANITÀ VERSO IL DETENUTO AL 41 BIS

25 gennaio 2025:

Ne avevamo parlato in questa pagina un paio d’anni fa. Ritorniamo a parlare del caso di Ernesto Fazzalari per il suo esito felice. Condannato a 30 anni per i tristi fatti della faida di Taurianova tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, il latitante più ricercato dopo Matteo Messina Denaro era stato arrestato nel giugno 2016 e detenuto al 41 bis. In carcere, si è ammalato di una forma di tumore al pancreas aggressiva e dalla prognosi incerta. Le sue gravi condizioni di salute sono state alla fine riconosciute e dichiarate incompatibili con lo stato di detenzione.

Luigi Longo e Antonino Napoli su l’Unità del 25 gennaio 2025


La vicenda processuale e umana di Ernesto Fazzalari ruota attorno all’eterno conflitto tra libertà e autorità. Nell’ambito di questo conflitto, la reclusione in carcere, che è espressione massima di autorità, non può risolversi in una totale e assoluta privazione di libertà; può comportarne una grave limitazione, ma non può certo determinarne la soppressione. Chi si trova in stato di detenzione, infatti, conserva la propria libertà per il tramite di quel valore supremo che è la dignità umana che, essendo intrinseca all’esistenza dell’uomo, non può essere conferita, graduata o revocata, e permane al di là di ogni circostanza e condizione: è, in altre parole, il fondamento della precedenza e preminenza che l’individuo vanta nei confronti dello Stato.
Ernesto Fazzalari era stato condannato all’ergastolo nel processo Taurus, pena successivamente ridotta a 30 anni dalla Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria su richiesta del suo difensore per effetto della sentenza della CEDU nel caso Scoppola v/s Italia, ed è stato arrestato dopo oltre 20 anni di latitanza. Durante questo periodo era stato inserito al secondo posto, dietro il solo Matteo Messina Denaro, nell’elenco dei latitanti di massima pericolosità, una lista redatta dal Gruppo integrato interforze per la ricerca dei latitanti più pericolosi (GIIRL) della Direzione centrale della polizia criminale nell’ambito del Programma speciale di ricerca.
In seguito al suo arresto, avvenuto il 26 giugno 2016, a Trepitò, in provincia di Reggio Calabria, Fazzalari è stato sottoposto al regime del 41 bis. Durante la sua detenzione gli è stata diagnosticata una grave patologia che ha indotto la difesa a chiedere il differimento della pena o la detenzione domiciliare sul presupposto che da alcune recenti sentenze, emesse dai giudici del merito, emergeva che dell’operatività di Fazzalari, quale capo di una cosca di ndrangheta, non si aveva dimostrazione concreta nel periodo antecedente alla sua cattura. Si è accesa così una lunga e dura battaglia legale tra la difesa di Ernesto Fazzalari e la magistratura di sorveglianza di l’Aquila, prima, e Bologna, poi.
La detenzione domiciliare Fazzalari è stata concessa dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna dopo che la Corte di Cassazione, accogliendo i ricorsi della difesa, ha annullato ben tre ordinanze di rigetto del differimento della pena o della concessione della detenzione domiciliare, una emessa dal Tribunale di Sorveglianza di L’Aquila e due ordinanze emesse del Tribunale di Sorveglianza di Bologna, in seguito al suo trasferimento presso il centro diagnostico e terapeutico del carcere di Parma. Quest’ultimo tribunale, riunendo due giudizi di annullamento della Cassazione, ha dovuto finalmente accogliere la richiesta della difesa.
In tutti i ricorsi presentati, il Tribunale di Sorveglianza di Bologna concedendo la detenzione domiciliare a Ernesto Fazzalari ha – di fatto – applicato il principio di civiltà giuridica che sancisce la prevalenza del diritto alla salute come garanzia della dignità del detenuto e dell’umanità della pena. È dovere del giudice, nelle proprie decisioni, riuscire a trovare sempre un equilibrio tra compassione e rigore, umanità e severità, in modo che l’applicazione del diritto sia avvertita dai tutti i cittadini, innanzitutto i condannati, come legittima e giusta perché la decisione giudiziaria non è mai un atto di pura tecnica giuridica, ma un atto di coscienza: la coscienza del “giusto”. Il rispetto della dignità umana dev’essere sempre la “bilancia” su cui pesare le compressioni di libertà autoritativamente imposte alla persona detenuta perché lo Stato può anche punire, ma mai vendicarsi!

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