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IN QUELLE FOTO DEI MORTI VIVENTI TUTTA LA VERITÀ SULLA PENA CAPITALE

19 gennaio 2025:

Sergio D’Elia su l’Unità del 16 gennaio 2025

Oliviero prendeva e partiva, armi e bagagli, che poi erano la sua macchina fotografica e l’amore per la razza umana. In particolare, l’amore verso la dolente condizione umana e la diversità preziosa di una razza, di un’idea, di un colore.
Oliviero pensava, vibrava, agiva all’unisono con il corpo del diverso: il malato, l’escluso, il recluso. Eppure, spesso, lo attraversava il pensiero di dimettersi dalla “razza umana” perché lo inorridiva, ad esempio, il fatto che per “fare giustizia” suoi simili ancora usassero tenere in gabbia e financo uccidere altri loro simili. Non è un modo di fare giustizia, è un “fare ingiustizia”, non è giustiziare, ma “ingiustiziare”, obiettava e denunciava con questo suo neologismo la realtà dei bracci e delle pene di morte, delle carceri e delle pene fino alla morte. “La pena di morte è il vero spettacolo di una condizione umana, è il vero imbarazzo di appartenere alla razza umana. È un modo di fare giustizia che mette tutti di fronte alla propria coscienza. È ridicolo e paradossale che ancora esista, è come parlare di schiavitù. Il cinema e la fotografia sembrano essere gli unici mezzi per andare contro questa giustizia”.
Oliviero Toscani aveva scelto la fotografia come mezzo di conoscenza e rappresentazione della realtà del nostro mondo e del nostro tempo. Eppure, nel mostrare la realtà per quella che è, le sue opere non sono mai state di una natura morta e disperata, erano sempre animate da pensieri e messaggi positivi, da una visione che orientava al mutamento. Oliviero non era un fotografo “realista”; al contrario, era un artista “visionario” e, per ciò stesso, artefice creativo di una nuova realtà, diversa da quella esistente. Con la sua opera geniale di conversione della comunicazione pubblicitaria dei prodotti di consumo in comunicazione sociale dei valori e dei diritti fondamentali dell’umanità, ha anche affrancato il senso comune e originario del “fare economia” dal consumismo esasperato e insensato proprio dell’economia della crescita infinita.
Oliviero prendeva e partiva. Non diceva mai di no. Soprattutto quando si trattava di salvare vite umane da una realtà aberrante, quella dello Stato-Caino. Tra il 1999 ed il 2000, con Nessuno tocchi Caino e l’avvocato di San Diego Speedy Rice, è entrato nei bracci della morte degli Stati Uniti. Per la campagna “We, on death row” di Benetton ha fotografato e intervistato i morti viventi. Le immagini e le parole dei singolari testimonial hanno fatto il giro del mondo. Hanno creato molto scalpore e qualche polemica. Per la sua campagna, il Gruppo Benetton ha subito negli Stati Uniti boicottaggi e denunce. Ma i volti impauriti e gli ultimi desideri dei condannati a morte, riprodotti su giganteschi cartelloni pubblicitari, sono stati visti e letti per mesi sui muri delle città americane. In alcuni Stati, quelle foto, hanno portato alle moratorie o alle abolizioni della pena di morte. In altri, fermi ancora al tempo della bibbia e del fucile, hanno fatto riflettere.
In ogni caso, con “Noi, del braccio della morte”, Toscani ha testimoniato con persone in carne e ossa una semplice verità: che la persona della pena può essere una persona diversa da quella del delitto. Non perché possa essere estranea al delitto, ma perché, nella pena, può accadere che essa muti, rinasca a un’altra vita, conquisti una nuova innocenza.
Noi di Nessuno tocchi Caino saremo sempre grati a Oliviero Toscani per i suoi “scatti” nei bracci americani che hanno dato corpo, volto e voce alla vita dei condannati a morte. Nel corso del tempo, alcuni dei protagonisti della campagna “We, on death row” sono usciti dal braccio della morte. Altri sono stati “ingiustiziati”, crocifissi con le braccia aperte e i piedi inchiodati sul lettino dell’iniezione letale. Gli uni e gli altri hanno dato un contributo straordinario al superamento di una realtà aberrante, quella dello stato che uccide, non solo negli Stati Uniti, ma anche nel mondo.
Non esiste assemblea umana, diceva Aldo Capitini, sulla quale non spiri il vento della compresenza. Così, nel dicembre del 2007, sulla Assemblea generale dell’ONU che votava la moratoria universale delle esecuzioni capitali aleggiava sicuramente lo spirito creatore di Mariateresa Di Lascia e del suo visionario “Nessuno tocchi Caino”. Ma aleggiavano anche le anime in pena dei condannati a morte immortalati da Oliviero Toscani sette anni prima nelle carceri americane. Immortalare significa anche fotografare. Con i suoi “scatti” Oliviero Toscani ha reso immortali i condannati a morte, li ha eternati nella loro nuda realtà di esseri umani, forse colpevoli di un delitto, di certo innocenti nella pena. Quelle foto sono un patrimonio dell’umanità, che l’Unesco dovrebbe riconoscere come tale e preservare per l’eternità.

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