ITALIA - ‘Petricore’, 6 repliche a Roma
27 ottobre 2024: Petricore lo spettacolo è finito il pubblico può lasciare la sala. Sul palcoscenico un muro di sbarre d’acciaio che fanno da sfondo al corpo senza vita del condannato a morte giustiziato. Non riusciamo a capacitarci che sia morto. Sì, è in croce, immobile, legato mani e piedi sul lettino delle esecuzioni con gli aghi infilati nella vena mentre esala l’ultimo convulso respiro e schiuma bianca fuoriesce dalla bocca. Non sappiamo se sia davvero colpevole anzi potrebbe essere persino non colpevole. Sappiamo che gli manca la moglie e non poter sentire più l’odore della terra dopo il passaggio della pioggia. Petricore è il nome dell’odore che si sente durante e dopo la pioggia che interrompe un periodo secco. E lui è come se già sapesse che non ci sarà nessuna pioggia. Aveva ragione Albert Camus, la pena di morte la devi vedere per dare un nome a quel nodo in gola, alla palpabile speranza che improvvisamente arrivi la telefonata per bloccare l’esecuzione e salvi il prigioniero, lo riporti in vita e con lui torniamo a riprendere fiato anche noi che pensiamo di dormire e sognare ma adesso potremmo risvegliarci e convincerci che ci siamo sbagliati. In ogni spettatore che ha seguito i 75 minuti dello spettacolo magistralmente narrato il desiderio che la condanna non sia eseguita è palpabile si capisce anche dalle risate liberatorie che irrompono durante i dialoghi dei protagonisti. I due agenti penitenziari e il loro condannato che custodiscono e materialmente saranno chiamati a giustiziare. Dialoghi che scandagliano luoghi comuni, pregiudizi, paure per quello che non riusciamo a controllare e capire o molto più semplicemente non conosciamo affatto di questi nostri tempi in cui spesso non ci rappresentano e immaginiamo, anche ingenuamente, quanto e come alla violenza e al degrado si dovrebbe rispondere ancora più duramente. Negli Stati Uniti le statistiche dimostrano come la durezza del sistema penale non metta al riparo una popolazione di 330 milioni dalla violenza e quanto gli oltre due milioni di detenuti siano un problema per l’intero sistema sociale ed economico perché a loro volta generano sacche di povertà e violenza. In Iran le esecuzioni capitali dall’inizio dell’anno sono arrivate a 655 persone uccise in nome della religione e delle leggi che contrastano la povertà nel paese con i cappi al collo e le pene corporali. Petricore ci propone un ipotetico scenario italiano dove da 70 anni è stata abolita la pena capitale e la condanna a morte non potrebbe in alcun modo essere reintrodotta, perché le nostre leggi sono state scritte a prova di furori e linciaggi, di qualsiasi colore e segno, di qualsivoglia processo mediatico ( non a caso i nostri padri costituenti nell’ordinamento costituzionale inserirono con l’art.27 “ Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte”. Noi abbiamo un’altra pena di morte nascosta nel senso che non se ne parla. La pena fino alla morte ovvero l’ergastolo ostativo coloro che, nonostante il dettato costituzionale, sono condannati al fine pena mai e moriranno in carcere perché il sistema penale ha creato sotto leggi che non prevedono nessuna possibilità di accedere ai benefici dell’espiazione della pena se si è condannati per reati associativi di criminalità organizzata. Abbiamo condannati all’ergastolo che hanno scontato anche 40/50 anni di carcere a cui viene chiesta la collaborazione per poter tornare liberi. Anche se la persona del reato è diversa da quella della pena dopo una vita in carcere, la condizione non cambia. Moriranno in carcere di malattie o a fine vita. Questo racconto teatrale è un vero e proprio percorso di riflessione e di messa in discussione di certezze granitiche. La giovane compagnia ha mostrato una capacità di creare non solo dibattito ma soprattutto di chiederci cosa avrebbe fatto ognuno di noi davanti alla scelta di obbedire al principio di una legge che chiede di dare la morte in nome dello Stato di un’ideologia di una religione o di un’etnia. Sono delegati altri a fare il lavoro sporco ma alla fine quando agli spettatori si chiede di uscire e il corpo del condannato è immobile al centro del palcoscenico, non vi è dubbio che si è tutti coinvolti e nessuno potrà sentirsi assolto.
Al teatro Cometa OFF di Testaccio si è concluso lo spettacolo Di Licia Amendola e Simone Guarany andato in scena dal 22 al 27 ottobre. Successo di pubblico e auspichiamo che si possa replicare
NtC
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