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Un talebano picchia una donna in pubblico
Un talebano picchia una donna in pubblico
CON I TALEBANI A KABUL SONO TORNATE LAPIDAZIONE E TORTURA

19 aprile 2025:

Sergio D’Elia su l’Unità del 19 aprile 2025

Nella mezzaluna islamica che stringe in una morsa il Golfo Persico, il rito funebre della pena di morte non s’interrompe mai nel corso dell’anno. A volte, il ritmo mortale supera quello della preghiera collettiva del venerdì. In Iraq, la resa dei conti dell’occhio per occhio avviene una volta alla settimana, in Arabia Saudita almeno una volta al giorno, in Iran anche due volte al giorno. Insieme, ogni anno, si piazzano ai primi posti tra i Paesi-boia al mondo con quasi 1.500 esecuzioni.
Fuori gara, al primissimo posto, oltre ogni primato e calcolo attendibile, c’è la Cina. Nonostante il segreto ferreo sulla pena di morte, non foss’altro per il numero di abitanti, l’ampio spettro di reati capitali e la durezza del regime comunista, è fin troppo facile stabilire che la Cina sia il campione del mondo di esecuzioni.
Ma i più affezionati e irriducibili partigiani della legge della Sharia sono senza dubbio l’Iran, l’Iraq e l’Arabia Saudita. I primi due giustizieri islamici amano la forca. Quella irachena è sempre la stessa, nella prigione di Nassiriya, dove l’Iraq liberato da Saddam Hussein ha mantenuto le abitudini del vecchio dittatore: la pratica della tortura e la pena di morte.
La forca iraniana, invece, funziona in serie, come una catena di montaggio, ne impicca cinque, sei alla volta, nel segreto del cortile di una prigione o sulla pubblica piazza, dove i malcapitati attendono con gli occhi bendati che un calcio improvviso allo sgabello gli faccia mancare la terra sotto i piedi o che il gancio di una gru li tiri d’un colpo all’insù con la corda azzurra stretta attorno al collo.
Il terzo giustiziere, quello saudita, predilige la spada che nel Regno di Bin Salman si abbatte senza tregua sulla testa del condannato poggiata su un ceppo di legno all’ombra della moschea principale vicina al luogo del delitto.
Nel mondo islamico dove detta legge la Sharia, s’affaccia ora un altro fanatico sunnita. In Afghanistan, sono tornati i Talebani con le loro barbe lunghe e le mitragliatrici piantate sui pick-up. Sono ancora fermi all’età della pietra che usano non per costruire case ma per lapidare adultere e traditori del sacro vincolo del matrimonio. Non praticano spesso le esecuzioni, ma quando le fanno, le espongono al mondo in maniera spettacolare. In un giorno, ai primi di aprile, quattro uomini sono stati giustiziati in tre diverse città. Il giorno prima, i Talebani avevano fustigato in pubblico 13 persone, tra cui 5 donne, nelle province di Khost e Jawzjan con accuse che vanno da “relazioni illecite” e “fuga dalla propria casa” a blasfemia, corruzione e falsa testimonianza.
Da quando sono tornati al potere nell’agosto 2021, i Talebani hanno emesso 176 sentenze capitali e giustiziato almeno 10 persone. Altre 37 persone sono state condannate alla lapidazione e 4 al crollo di un muro su di loro, una punizione che risale agli albori della storia islamica. Tra marzo 2024 e marzo 2025, almeno 456 persone, tra cui 60 donne, sono state fustigate.
I Talebani non amano la corda, preferiscono il fucile che, oltre alla pietra, è l’arma più usata nel Paese. Due uomini, identificati come Soleiman and Haidar, sono stati uccisi a Qala-i-Naw. Sono stati portati allo stadio di calcio, li hanno costretti a sedersi per terra al centro del campo, i parenti delle vittime si sono piazzati dietro le spalle e gli hanno sparato sei o sette colpi di pistola. I condannati avevano offerto il prezzo del sangue, ma i familiari della vittima l’hanno rifiutato. Gli abitanti del luogo erano stati invitati vivamente a “partecipare all’evento” con avvisi ufficiali ampiamente diffusi il giorno prima. Non tutti hanno gradito lo spettacolo. Secondo testimoni oculari, le scene erano orribili, alcuni sono scoppiati in lacrime. Lo stesso giorno, un altro uomo, di nome Mohammad Sadi, è stato giustiziato nella città di Farah. Il quarto, giustiziato a Zaranj, si chiamava Abdul Qadir ed era molto giovane. “Speravo che la famiglia cambiasse idea, m a non l’ha fatto. È stato insopportabile. Non andrò mai più a un’esecuzione”, ha detto uno spettatore.
Il Relatore Speciale delle Nazioni Unite sull’Afghanistan ha descritto gli episodi come gli ultimi di una lunga serie di violazioni dei diritti umani da parte dei Talebani. Da Kandahar, il cuore pulsante del mondo talebano, dove vive, diffonde sermoni e firma ordinanze coraniche, Hibatullah Akhundzada, il capo del gruppo, ha respinto ogni critica e inquadrato il sostegno alla sua leadership come una questione di lealtà religiosa.
“Così come Dio ha ordinato la preghiera, ha ordinato la retribuzione in natura”, ha affermato. “Coloro che stanno con me stanno con Dio, stanno sostenendo la Sua legge”.
Iran e Iraq, Arabia Saudita e Afghanistan. I primi due paesi sono sciiti, gli altri due sunniti, tutti e quattro sono ispirati dal Corano. A bene vedere, la visione religiosa non c’entra, essi resistono strenuamente al rispetto dei diritti umani e a ogni istanza di cambiamento che pure spira nel mondo islamico e che quasi ovunque ha superato usi e costumi fuori dal mondo, fuori dal tempo.

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