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L’UNICA PENA OGGI È IL CARCERE, MA CON LA GIUSTIZIA NON C’ENTRA NULLA

19 aprile 2025: Rosario Patanè su l’Unità del 19 aprile 2025

È diffusa e pervasiva in ogni dove la cognizione apodittica e “dogmatica” che la “pena” per antonomasia consiste nel carcere (etimologia arcaica da “carcar” sotterrare, nascondere). Questa identificazione è connaturata alla società moderna, ma è del tutto fuorviante. Intanto occorre precisare che questa “istituzione” chiamata carcere non è affatto esistita da sempre come generalmente si crede ma nasce solo dopo la Rivoluzione francese, durando fino ai primi decenni del 1800.
Contrariamente all’era medievale e feudale quando il reato si intendeva violazione del Corpo del monarca assoluto che era non solo “a legibus solutus” ma anche incarnazione della legge comune e del diritto, la pena consisteva nell’esecuzione corporale nel vasto proscenio urbano al fine della dimostrazione diretta al popolo della restituita e reintegrata unitarietà della potestà regale. Ecco che le impiccagioni, le decapitazioni, le irreparabili amputazioni fisiche e altri strumenti di tortura mortale erano date in pubblico perché tutto ritornasse nella Norma.
Lo “splendore dei supplizi” con il quale si ripristina lo splendore del potere violato. Infatti, in quei tempi (ma anche oggi) il Potere deve sempre esibire il suo corpo, perché è il suo corpo che lo incarna, inviolabile, inviolato. Ecco perché re, regine, dittatori si affacciano sorridenti e fieri da ogni balcone. Il corpo del “re” rassicura il popolo che è ancora viva la “nazione” o “l’Idea” o “l’Ideale” o la “rivoluzione” che il popolo – non loro – conduce.
Il vero carisma è dietro il popolo, solo apparentemente davanti.
L’avvento della prigione come nuova tecnica di punizione moderna è legato allo sviluppo dell’economia capitalistica (sono gli anni che inizia a manifestarsi quel che Marx chiamerà lo “spirito animale del capitalismo” nel senso beninteso di fervore inarrestabile alla produzione e alla ricchezza) e ai metodi di correzione degli individui attraverso il lavoro forzato, ad essa utilissima. Il carcere oggi come non mai è per antonomasia LA pena non una forma della pena. Esso in quanto racconto è il “risarcimento”. Tanto è vero che per i familiari della vittima la pena erogata vale se consona alle aspettative degli anni di prigione sebbene tutti dicano che non dia loro la restituzione della vittima o della sua integrità vitale ma che “almeno” è stata fatta “giustizia”, forma moderna di “vendetta” affidata al potere legale (Weber) ma del tutto impossibilitata alla reintegrazione dell’equilibrio sociale e alla stessa deterrenza dai reati, come appare dovunque anche nel caso estremo della pena di morte.
È quindi del tutto evidente che, col più alto rispetto di tutte le vittime, in essa pena carceraria, in particolare l’ergastolo, consiste esclusivamente la soddisfazione della natura risarcitoria che si attende ma il “reo”, non scompare, nel carcere continuerà a esistere un essere umano per il quale l’Illuminismo giuridico di Bentham e Beccaria rivede la pena carceraria rispetto alla sua “utilità” sociale e non solo individuale connettendola ai principi generali dei diritti della persona, rivedendo anche ab himis la progettazione materiale delle carceri (“Panopticon”).
La Costituzione Repubblicana ampliando molto queste idee riformatrici vi scorge il soggetto e l’oggetto di una rieducazione, conduzione non persecutoria e violenta della detenzione e riammissione sociale. Qualunque sia stato il reato. Gradualità del giusto processo, dovere di uno Stato democratico e liberale di tentare ogni possibile azione di recupero della Persona, conformemente alla dimensione laicamente sacra del primato della Persona umana sul quale essa si fonda.
Ne “Lo splendore dei supplizi” afferma Foucault: «La prigione non è l’alternativa alla morte. Essa porta la morte con sé. Uno stesso filo rosso corre lungo questa istituzione penale che si presume applichi la legge ma che in realtà ne sospende la validità: oltrepassate le porte della prigione, regnano l’arbitrio, la minaccia, il ricatto, le percosse… Nelle prigioni è di vita e di morte e non di “correzione” che si tratta». Punizione, che per
secoli, forse millenni, è parsa più o meno ovvia alla civiltà occidentale, la nozione stessa di punizione, vi sembra altrettanto scontata oggi?

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