INTERDITTIVA ANTIMAFIA: UN SISTEMA INCONTROLLABILE
15 febbraio 2025: Vito Pacca* su l’Unità del 15 febbraio 2025 L’interdittiva antimafia vede le sue origini con il decreto legislativo n. 159 del 2011 che ha dato vita al Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione introducendo nel nostro ordinamento giuridico il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, notoriamente conosciuto come articolo 416 bis. Il provvedimento di interdittiva antimafia, che per sua natura viene collocato nell’ambito dei provvedimenti di carattere amministrativo emanati dal Prefetto, tende a eliminare o limitare la capacità giuridica delle società in probabile odore di mafia. Il termine “probabile” è doverosamente riportato in quanto uno dei pilastri su cui fonda le sue radici questo provvedimento è proprio il principio del “più probabile che non” che, in ambito civilistico, il giudice applica riconoscendo semplicemente “che il fatto sia avvenuto con una ragionevole probabilità logica”, in barba al principio “iuxta alligata et probata” in base al quale, invece, il giudice deve giudicare solo secondo le prove raggiunte e i documenti allegati. Fatta questa breve ma necessaria e doverosa premessa, passiamo al fatto. In data 16 dicembre 2024, la Prefettura di Avellino trasmette via PEC un “Preavviso di diniego iscrizione-permanenza in white list/Informazione antimafia interdittiva” a una piccola impresa operante nell’ambito dei lavori edili stradali, di cui ne seguo le sorti. Il preavviso evidenziava, in primo luogo, la “cointeressenza” della piccola realtà irpina con una società già oggetto di provvedimento di interdittiva antimafia e in attesa di pronuncia da parte del TAR di Salerno. In secondo luogo, “l’assunzione” di un operaio che, cinque mesi dopo il licenziamento veniva condannato per reati associativi di natura mafiosa. La cointeressenza, rappresentata nel preavviso di diniego, prendeva spunto da un passaggio di documenti tra la società colpita dal provvedimento di interdittiva e una terza impresa, committente dei lavori. A conti fatti, la piccola impresa, mia assistita, aveva semplicemente assunto ruolo di tramite, dunque, un ruolo del tutto marginale. Tra l’altro, i rapporti in essere tra la piccola impresa e la società interdetta erano limitati a uno spazio temporale ben preciso e assolutamente ridotto rispetto a quello che potrebbe configurarsi un continuo legame commerciale e imprenditoriale facendo escludere, quindi, l’individuazione di un elemento di stabile compartecipazione. L’assunzione dell’operaio condannato per reati associativi di natura mafiosa (anche in questo caso si parla di brevissimi periodi di tempo ovvero limitati alla fattuale necessità per mancanza di manodopera) ha determinato l’emissione del preavviso nonostante lo stesso sia stato licenziato, per incomprensioni con la proprietà, come dicevamo, ben cinque mesi prima della sua condanna. La presenza del soggetto in questione è stata considerata, evidentemente, quale elemento determinante ai fini dell’emissione del preavviso, disconoscendo, di converso, la mera collaborazione temporanea quale realtà oggettiva. Tanto è bastato all’Autorità competente per decidere di emettere un “Preavviso di diniego iscrizione-permanenza in white list”. Senza essere sentenzioso, è chiaro che, alla luce di quanto riportato, l’intero istituto va assolutamente modificato, corretto, migliorato e contestualizzato tenendo conto degli aspetti che, inevitabilmente, contraddistinguono, vuoi per fatti vuoi per vicende, le varie realtà imprenditoriali. Le innovazioni portate dal Disegno di legge 152/2021, recante disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose, convertito, con modificazioni, nella legge n.233/2021, non hanno provveduto, a mio modesto avviso, a somministrare nuova linfa alla delicata materia. Sarebbe stato necessario approvare uno speciale e specifico emendamento atto a modificare e migliorare alcuni aspetti del provvedimento di interdittiva antimafia, allo stato delle cose, tanto invasivo quanto dirompente, a tratti addirittura incontrollabile. Dopo le questioni sollevate, a partire dal caso dei fratelli Cavallotti, in materia di sequestri e confische di prevenzione, la CEDU di recente ha esaminato con particolare attenzione anche le interdittive antimafia focalizzando l’interesse sulla valutazione dei presupposti applicativi dei provvedimenti prefettizi. Non di rado ci si è trovati di fronte a un netto squilibrio tra la realtà oggettiva e le probabilità logiche. I giudici della Corte Europea hanno posto finalmente al governo italiano specifici quesiti sull’effettivo carattere delle misure interdittive e sulla rispondenza del procedimento prefettizio ai canoni del giusto processo. * Avvocato Foro di Benevento
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