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SMASCHERARE IL REGIME DELL’ANTIMAFIA

26 luglio 2025:

Roberto Disma sull’Unità del 26 luglio 2025

Sono trascorsi oltre dieci anni da quando il giornalismo locale ha scoperchiato un esercizio arbitrario e prepotente di sequestri e confische nella Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo: beni sequestrati col pretesto dell’antimafia e trasformati in un vero e proprio bancomat per giudici, amministratori giudiziari, coadiutori e affini. L’eco delle testate nazionali, necessario per le proporzioni dello scandalo, ha consentito che la pericolosa inchiesta non si riducesse a delle urla nel deserto – con relativa vicenda giudiziaria durata nove anni sulle spalle del giornalista Pino Maniaci, prima di un’assoluzione con formula piena riconfermata in Appello dall’infamante accusa di estorsione – e la Procura di Caltanissetta si è attivata per smantellare in sede giudiziaria il cosiddetto “cerchio magico” di Silvana Saguto.
Questo è quanto accaduto, confermato e senza possibilità di smentita. Che la reazione sia stata intrapresa da una piccola emittente come Telejato è tanto amaro quanto naturale: solo Davide affronta Golia, e per non vanificare la lotta delle vittime è necessario che il popolo sia padrone della narrazione e della memoria che viene tramandata. Infatti, nonostante l’attenzione dei media nazionali, ancora oggi il sospetto che il caso palermitano non sia affatto isolato e che esista un sistema rodato e distribuito nel Paese viene a malapena vociferato in sporadici episodi di piccole fonti d’informazione locale.
Un altro aspetto su cui ancora oggi si tace è un vero e proprio segreto di Pulcinella: le correlazioni tra sequestri, confische e le sezioni della Fallimentare e delle Esecuzioni Immobiliari. È un dato di fatto, forte di numerosi episodi e della stessa giurisprudenza, che l’amministrazione giudiziaria di un bene confiscato intenzionata ad arricchirsi nutre un vivo interesse affinché il bene venga spolpato all’osso nel più breve tempo possibile, perché una volta fallito non vige l’obbligo di rendicontazione.
Se non è possibile discutere di questo, forse per non urtare il popolo di scandalizzati di pasoliniana memoria, è del tutto inconcepibile lo scandalo celato nell’ultima fase, quella delle aste giudiziarie, con metodi di partecipazione e assegnazione talmente ambigui che nessuno si sogna di aprire bocca al riguardo, protetti da una cortina giuridica fumosa, blindata, inviolabile e soprattutto legale, che impedisce l’avvio di un’azione giudiziaria.
La politica, che avrebbe tanti strumenti per intervenire, quando è chiamata in causa sembra reagire come un coscritto al fronte. Più che un disinteresse, dalle reazioni di Cafiero De Raho al ricorso alla CEDU della famiglia Cavallotti o dalla risposta giuridichese e inconcludente di Andrea Delmastro all’interrogazione parlamentare presentata da Roberto Giachetti, sembra che la politica abbia paura di affrontare l’argomento, ed è inquietante per un sistema in cui è impossibile non domandarsi quanto la mafia, quella vera, non sia direttamente o indirettamente coinvolta.
Questo è il tasto più intoccabile e spaventoso per quanto corrisponda al naturale corso delle devianze: la mafia che si veste di antimafia in un patto di reciproca sopravvivenza. Perché la politica si sente legittimata a non approfondire? La risposta è semplice, quasi banale: manca un approccio culturale. A prescindere da quanto il mondo sia preparato ad accettare la verità, la consapevolezza si alimenta di canali irrazionali e inarrestabili: la volontà di garantire una giustizia alle vittime, di porre i riflettori su quest’ultimo capitolo della Questione Meridionale, di dare una chiara collocazione culturale al fenomeno; perché no, sulle assi di un palcoscenico.
Dove il re viene denudato e la maschera del potere viene giudicata da una platea, dove la borghesia casca da tempo immemore nel tranello della mondanità e viene schiaffeggiata dalla memoria e dalle parole, il teatro rappresenta il battesimo di una presa di consapevolezza sociale e definitiva. L’immortalità della narrazione scenica libera la testimonianza dalla temporaneità della cronaca, rende il pubblico giudicante di ciò che vede e giudicato da quel che sente, in un presente ancora oggi troppo condizionato dal passato per guardare al futuro. Ed è proprio l’Arte a stimolare l’immaginazione, nel suo gioco è d’obbligo spingere il pensiero critico oltre ogni materialismo per far emergere quella suprema verità che, citando Eduardo De Filippo, in teatro è stata e sarà sempre la sublime finzione. Sarà fatto, sarà in scena.

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