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I NEMICI IMPICCATI IN SEGRETO NELLA PANCIA DELLA BALENA DI NASSIRIYA

4 maggio 2024:

Sergio D’Elia su L’Unità del 4 maggio 2024

Ciò che resta del famigerato Stato Islamico continua a compiere attacchi mortali e imboscate da aree remote e nascondigli nel deserto ai confini tra Siria e Iraq. Il grosso di quel che era il Califfato islamico più temuto al mondo è rinchiuso in un buco a Nassiriya, il carcere che gli abitanti del luogo chiamano “al hout”, la balena, perché inghiotte le persone e non le sputa più fuori. La prigione di Nassiriya è l’unica in Iraq dove c’è il braccio della morte. Si contano circa ottomila prigionieri, accusati per lo più di appartenere all’Isis.
La regola irachena dell’occhio per occhio non contempla il limite di un occhio alla volta; quando è il momento, l’accecamento è di massa.
La vendetta dei vincitori dello Stato islamico iracheno ufficiale si abbatte ogni volta su decine di vinti dello Stato Islamico inufficiale. L’appuntamento con la forca è prefissato nelle sentenze dei tribunali speciali ma i decreti di esecuzione devono essere firmati dal capo dello stato. In pratica, l’incidente mortale può accadere all’improvviso, a capriccio del Presidente Abdul Latif Rashid, in un giorno imprevedibile di un anno qualsiasi dei tanti di attesa nel braccio della morte.
L’anno scorso, alla vigilia di Natale, l’altoparlante della prigione ha annunciato i nomi dei 13 uomini che sarebbero stati impiccati l’indomani. Le guardie carcerarie li hanno poi prelevati a forza dalle celle e portati in isolamento. Sono stati uccisi all’alba della mattina dopo, senza avere neanche la possibilità di chiamare i propri cari per un ultimo saluto o gli avvocati per un estremo tentativo di appello alle istanze superiori di un infimo sistema giudiziario viziato da difetti più volte documentati, che negano agli imputati un giusto processo. Quella di Natale 2023 era stata la prima esecuzione di massa dal 2020, quando 21 uomini furono uccisi il 16 novembre.
Gli ultimi inghiottiti nella pancia della “balena” sono stati 13 uomini, spariti nel nulla, impiccati in segreto e senza preavviso il 22 aprile scorso. In base a una fonte anonima della sicurezza nella provincia meridionale di Dhi Qar, si sa solo che 11 “terroristi dello Stato Islamico” sono stati giustiziati nella prigione di Nassiriya, “sotto la supervisione di un team del ministero della Giustizia”. Una fonte medica locale ha confermato che il dipartimento sanitario ha ricevuto i corpi di 11 persone giustiziate. Tutti e 11 provenivano dalla provincia di Salahaddin e i corpi di sette sono stati restituiti alle rispettive famiglie.
Secondo altre fonti, nel mucchio della ultima impiccagione sarebbero capitati altri due uomini condannati per accuse legate al terrorismo formulate in termini eccessivamente ampi e vaghi.
La prigione di Nassiriya è nota per la sua camera della morte, ma anche per le terribili condizioni di detenzione. Secondo Human Rights Watch oltre 100 persone sono decedute dal 2021 a oggi. Molti di questi decessi sono accaduti in circostanze sospette, con i corpi degli uomini che presentavano evidenti segni di tortura e con le famiglie a cui è stato negato l’accesso ai referti dell’autopsia.
Il diritto dell’imputato a incontrare un giudice entro 24 ore dal proprio arresto, è una norma sacra universale, ma in Iraq è considerato un lusso che non può essere concesso ai “nemici dello Stato”.
Il diritto a essere assistito da un avvocato durante gli interrogatori e il diritto a comunicare con i propri parenti durante la detenzione, sono diritti umani fondamentali che in Iraq sono stati violati sin dalle prime luci dell’alba del nuovo mondo dopo il tramonto dell’era delle tenebre della dittatura. Le esecuzioni segrete di massa avvenute fino a oggi nell’Iraq liberato, rispecchiano esattamente quelle dell’epoca di Saddam Hussein.
I giudici di oggi continuano secondo le vecchie abitudini a condannare a morte con l’accusa generica di mera “appartenenza a un’organizzazione terroristica”, senza fare riferimento né all’organizzazione né al fatto specifico effettivamente commesso.
I processi sono generalmente fatti in fretta e furia e basati su confessioni estorte con la tortura. “È impossibile per me impedire l’esecuzione delle vittime che difendo”, ha raccontato un avvocato che difende alcuni detenuti nel carcere di Nassiriya. “Non ho nemmeno accesso ai fascicoli che riguardano i miei clienti. Non so chi sarà il prossimo, non so per quale motivo sarà giustiziato, né quando.”

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