IL MIO FILIPPO E ALTRI 2200: DOV’È FINITA LA NAZIONE?
11 febbraio 2024: La madre di Filippo Mosca, ragazzo italiano detenuto da 10 mesi nel carcere di Port’Alba a Costanza in Romania, racconta a Nessuno tocchi Caino la drammatica vicenda di chi, avendo ragione da vendere, cerca aiuto e confida nel battito d’ali di una farfalla e i suoi effetti. Dopo l’intervista su Radio Leopolda e l’interrogazione di Roberto Giachetti al Ministro degli Esteri, i media hanno scoperto che la tremenda condizione di Ilaria Salis in Ungheria non era isolata, c’erano anche Filippo Mosca e altri italiani in Romania e gli oltre duemila nostri connazionali dispersi e abbandonati nelle carceri di tutto il mondo, detenuti che lo Stato italiano non può più ignorare e dei quali deve prendersi cura.
Ornella Marraxia
Il mio ultimo messaggio a mio figlio prima che partisse in vacanza al Festival della musica in Romania: “Ciao Rumeno, divertiti con intelligenza”; era la fine della nostra serenità e l’inizio di un incubo da cui non riusciamo a svegliarci, e non lo sapevo. Mi aveva parlato di questo evento, era felice e non vedeva l’ora di partire. Io, da mamma chioccia, un po’ meno. E poi quella telefonata, la voce disperata di Filippo: “Mamma mi hanno arrestato. Aiutami!” In quel momento sono morta, sicuramente una parte di me lo è per sempre, e non avevo ancora la più pallida idea di tutto quello che, da quel fatidico giorno, avremmo dovuto affrontare, completamente soli. Nove mesi di orrore, disperazione, smarrimento, porte chiuse in faccia e mura di gomma. Filippo mi raccontava quel posto ogni giorno, le tragedie umane che si consumano dietro le sbarre, le condizioni di detenzione che non possiamo nemmeno lontanamente immaginare per quanto io provi a raccontarle e a descriverle. E la difficoltà di gestire questa sua sofferenza, le crisi di panico, le paure, la depressione, da lontano. Provando a infondergli coraggio e positività ogni giorno, assicurandogli che tornerà a casa sano e salvo, che i giudici guarderanno le carte e che non possono condannarlo. E ogni volta che ciò non avviene, mi sento di averlo tradito e illuso. E non posso neanche chiedergli “come stai” o “cosa fai” perché lui mi risponde: “Mamma non farmi queste domande perché lo sai bene cosa faccio qui dentro e come mi sento”. Sudiciume, sporcizia, soprusi, deprivazione di ogni piccola traccia di dignità umana, trattato peggio di un animale. Presi il primo aereo e andai in Romania il giorno dopo la sua telefonata. Fui immediatamente approcciata da personaggi “poco raccomandabili” che si avventano su di te come avvoltoi su una carogna. Avvocati, parenti di detenuti, persone incontrate per caso. Tutti cercano di estorcerti del denaro in un modo o nell’altro e io lì, sola, scandalizzata e inorridita dall’audacia delle loro proposte. Ti offrono soluzioni, a caro prezzo, tanto veloci quanto improbabili. C’è un intero sistema che specula sulle disgrazie altrui e ne hanno fatto metodo. Potrei scriverci un libro sul nostro vissuto di questi dieci mesi se non fosse troppo doloroso ricordare e rivivere ogni singolo episodio. Anche adesso, quando parlo di quanto stia soffrendo Filippo ogni giorno, ogni istante chiuso dietro quelle sbarre, devo fare uno sforzo non indifferente per reprimere le emozioni e tirar dentro le lacrime. E mi rendo conto che Filippo, per quanto flebile, ha una voce. E non smetterò mai di ringraziare Rita Bernardini e Armida Decina che hanno dato voce a Filippo. Ma quanti detenuti non hanno questa possibilità. Quando sento o leggo personaggi pubblici o politici difendere le loro posizioni, il loro immobilismo tirando fuori un numero: 2.200 detenuti italiani all’estero, a me tremano le gambe. Ripercorro l’inferno di Filippo ed il mio… 2.200 persone, colpevoli o innocenti, che vivono quell’inferno, trattati come le bestie nella totale indifferenza della propria nazione… Dovreste solo vergognarvi. Meglio tacere sui numeri, perché dietro quei numeri c’è la sofferenza inaudita di intere famiglie. The Butterfly Effect: “Si dice che il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo”. Abbracciate Filippo come se fosse vostro figlio, iniziate da lui, aiutatelo e sostenetelo. Ha bisogno di Aiuto e anche io.
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