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NEGLI USA 56 PROCURATORI CONTRO LA PENA CAPITALE

6 marzo 2022:

Valerio Fioravanti su Il Riformista del 4 marzo 2022

Negli Stati Uniti il presidente Biden ha nominato la “quasi-prima” donna nera alla Corte Suprema, quell’organo molto importante, composto da giuristi (non giudici), tutti di nomina politica, che per noi italiani sarebbe in parte Corte Costituzionale e in parte Corte di Cassazione.
Ketanji Brown Jackson, nel Paese che ha inventato il “politicamente corretto”, è probabilmente molto preparata (laureata con lode ad Harvard) ed equilibrata, ma al momento di lei sappiamo soprattutto che è stata scelta in quanto donna, e in quanto di colore. Prima di lei, la prima donna a entrare nella prestigiosa Corte era stata, nel 1981, Sandra Day O’Connor, bianca, bionda, con i capelli cotonati e reaganiana. Quanto al colore, il primo nero fu nominato nel 1967, Thurgood Marshall.
Sonia Maria Sotomayor, nominata nel 2009, fu la prima donna “di colore”. Oggi precisano che Sotomayor, di genitori latino-americani, era sì “di colore”, ma “light brown” (tradotto letteralmente sarebbe marrone chiaro), mentre la Brown Jackson è “brown” tout court. Insomma, Biden, che ha nominato una viceministra alla Salute transgender, due donne a dirigere i servizi segreti, e un dirigente “gender fluid” (che era già stato consigliere di Trump) al Dipartimento Energia Nucleare, cerca di recuperare credibilità e consenso cavalcando i temi del genere e della razza. Vedremo se poi, oltre alla forma, le cose cambieranno anche nella sostanza. Come è noto, infatti, Biden sulle “cose concrete” sembra debole.
Nessuno tocchi Caino segue, ad esempio, i lentissimi (a essere ottimisti) progressi dell’Amministrazione Biden sul tema della pena di morte. È di questi giorni la notizia che 56 “procuratori” hanno firmato una lettera aperta chiedendo ai politici di affrontare le gravi storture legate alla pena capitale: il basso quoziente intellettivo di molti condannati, le malattie mentali di cui sono spesso portatori, la loro povertà, “ignoranza”, emarginazione razziale e sociale. Storture talmente evidenti e talmente gravi che i procuratori chiedono ai politici quella che a loro sembra l’unica soluzione possibile: abolire la pretesa dello Stato di punire alcuni crimini uccidendo dei cittadini.
Abbiamo messo “procuratori” tra virgolette, perché è un termine con cui abbiamo qualche familiarità attraverso i film e telefilm americani, ma non hanno un corrispettivo nel sistema giudiziario italiano. La “divisione delle carriere” che in Italia è un tabù, negli Stati Uniti è una norma: la pubblica accusa è rappresentata da un avvocato che si candida nella stessa tornata elettorale in cui viene scelto il governatore dello Stato, i sindaci delle città e capi della polizia (spesso chiamati sceriffi). Come per tutte le cariche sopra elencate, anche il procuratore farà campagna elettorale e dichiarerà la sua appartenenza a un partito politico. Ogni procuratore eletto assume per chiamata diretta degli aiutanti, che vengono tutti chiamati “vice-procuratori”. I procuratori-capo e i vice-procuratori non sono “magistrati” nel senso italiano del termine, sono laureati in legge e devono anche loro passare l’esame nazionale di abilitazione alla carriera forense, ma
 laurea ed esame di stato non garantiscono lo stipendio per tutta la vita, ma solo per quattro anni. Dopo quattro anni infatti dovranno ricandidarsi, o venire nuovamente scelti. Per scorrettezze procedurali si registrano decine di casi l’anno di procuratori che vengono sanzionati, licenziati, a volte anche arrestati (non è rarissimo). E comunque, spesso, se non hanno performato adeguatamente, dopo 4 anni non vengono rieletti, e tornano a fare gli avvocati “normali”.
Allora, 56 “procuratori capo” hanno preso posizione contro la pena di morte. Potrebbero sembrare pochi, visto che gli Usa sono suddivisi amministrativamente in 50 stati e 3.142 “contee”, ognuna con un suo procuratore capo. Ma la pena di morte non viene utilizzata in tutte le contee: diversi studi registrano che viene applicata “attivamente” solo nel 2% dei distretti. Pochi procuratori “garantisti” contrapposti, con cifre quasi identiche, a pochi procuratori “forcaioli”. In mezzo la stragrande maggioranza dei procuratori che, pur senza firmare lettere aperte ai legislatori, la pena di morte non la utilizzano. Ma i 56 procuratori comunque ci interessano, perché ci interessa il loro rapporto trasparente con la politica, e anche rispettoso delle rispettive prerogative. E poi, diciamo la verità, ci incuriosisce la figura del pubblico accusatore garantista. Qui da noi quelli che ci sono (perché ci sono) devono stare ben attenti a non farsi notare, se no li fulminano.

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