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SCIOLTO IL COMUNE DI FOGGIA, TRIONFA LA CULTURA DEL SOSPETTO

30 ottobre 2021:

Michele Vaira su Il Riformista del 29 ottobre 2021

La relazione di scioglimento del Comune di Foggia si dilunga, dettagliatamente, sulla storia giudiziaria della mafia foggiana. Un dato chiaro, inequivocabile, che nessuno può e deve discutere. Si tratta di una mafia violenta, con (almeno) due distinte “batterie” che in alcuni periodi hanno cercato di sterminarsi reciprocamente; che ha un profondo controllo del territorio, imponendo la legge del pizzo; che gestisce i traffici di stupefacenti e l’usura. Ma le sentenze e le indagini vanno apprezzate non solo per ciò che accertano, ma anche per ciò che negano.
Non è mai stato accertato giudizialmente quel “salto di qualità” (tipico di altre realtà mafiose) che introduce i capitali mafiosi nell’economia legale. Manca qualsiasi prova di una vera commistione tra mafiosi e imprenditori. Tantomeno di un rapporto con la politica. Si può quindi affermare che la mafia foggiana di oggi è paragonabile alla mafia siciliana di quaranta anni fa o quella calabrese di venti anni fa. Ciò non significa che non debba essere affrontata e debellata, ma commissariare l’amministrazione comunale non è la risposta più efficace al problema. Per impedirne l’evoluzione in forme di “mafia imprenditoriale” è necessario intervenire sulle dotazioni delle forze di polizia e, soprattutto, sulla geografia giudiziaria. È inconcepibile che Foggia non sia sede (quantomeno distaccata) di Corte d’Appello.
Il numero di comuni di Capitanata sciolti per mafia è elevatissimo, del tutto sproporzionato rispetto ad altre realtà italiane; l’unica altra città capoluogo di provincia sciolta per mafia è Reggio Calabria. L’infiltrazione nei gangli della pubblica amministrazione è sintomo di uno stadio già metastatico del cancro mafioso, tipico delle mafie più strutturate ed evolute. La Quarta Mafia, per come emerge da sentenze e indagini note, è una mafia ancora “primordiale”.
La relazione prefettizia è in larga parte una giustapposizione di elementi, alcuni ipotetici, altri parziali, altri ancora addirittura errati. Il trionfo della cultura del sospetto, nella totale assenza di contraddittorio con i diretti interessati. Una lunga (quanto inutile) digressione sulla storia (del tutto assodata e incontestabile) della mafia foggiana, un enorme (quanto ingiustificato) spazio sulle due meritorie e meticolose quanto approfondite indagini sulla corruzione, che non hanno alcuna attinenza con il fenomeno mafioso. Poi una serie di elementi eterogenei quanto inconcludenti: la considerazione che il clima di (presunta) corruttela costituisca terreno fertile per l’infiltrazione mafiosa; la fuorviante statistica sui precedenti di polizia relativi ai dipendenti comunali; elementi tratti da indagini poi archiviate per infondatezza.
Per finire, poi, con la valorizzazione delle interdittive antimafia a carico di aziende locali, che a loro volta sono provvedimenti basati sul sospetto. Uno strumento che paradossalmente non colpisce le aziende effettivamente criminali, ma i parenti onesti di soggetti che si dedicano (o si sono in passato dedicati) al crimine. Aziende sane di gente incensurata vengono messe in condizione di scomparire. Sospetto che legittima il sospetto. La morte dello stato di diritto.
Lo scioglimento del consiglio comunale è una decisione politica, adottata dall’esecutivo. Non certo emessa da un magistrato, indipendente da ogni potere, che applica, interpretandola, la legge, motivando la sua decisione. La sospensione della democrazia è rimessa alla valutazione di semplici funzionari che rispondono al potere esecutivo, e quindi indirettamente alla politica. Non ci sono veri e propri termini di paragone, precedenti giurisdizionali, parametri chiari, rispetto a quella che si manifesta come una discrezionalità talmente ampia da sfociare nell’arbitrio. Pur se formalmente adottata dai più alti livelli istituzionali (Presidente della Repubblica, Consiglio dei Ministri), nei fatti dipende da un semplice collegio di prefetti e Forze dell’Ordine.
Di fronte a conseguenze così devastanti per la democrazia, ossia il diritto di scegliere i propri rappresentanti e amministratori, e per la libertà d’impresa – nel caso delle interdittive – lo Stato dovrebbe apprestare garanzie paragonabili a quelle che il processo penale riserva per la libertà personale. Quindi, contraddittorio effettivo, intervento della magistratura e standard di prova elevati. Nella legge del sospetto, invece, vale tutto e il contrario di tutto. Il fatto che una legge del genere abbia domicilio nel nostro sistema giuridico e resista al vaglio di costituzionalità è misura della violenza dello Stato nei confronti del cittadino. E hanno anche il coraggio di definire tutto ciò quale “forma di tutela avanzata”. La beffa, oltre al danno.

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