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BIELORUSSIA, IL BOIA D’EUROPA CHE NON SI FERMA DAVANTI A NIENTE

23 ottobre 2021:

Sergio D’Elia su Il Riformista del 22 ottobre 2021

L’Europa sarebbe un continente totalmente libero dalla pena di morte se non fosse per la Bielorussia, Paese che anche dopo la fine dell’Unione Sovietica non ha mai smesso di condannare a morte e giustiziare suoi cittadini.
Dal dicembre del 1991, quando l’URSS è stata ufficialmente sciolta e la bandiera rossa con la falce e il martello ammainata dal palazzo del Cremlino, la madre patria Russia ha ammainato anche il vessillo della pena di morte instaurando una moratoria delle esecuzioni. In Bielorussia, alla immediata periferia dell’ex impero, hanno continuato invece a fucilare le persone a ritmi sovietici. Più di 400 detenuti nel braccio della morte sono stati giustiziati, pochissimi sono stati graziati.
Sotto il dominio pieno e incontrastato di Alexander Lukashenko, il segreto di stato, altro retaggio della tradizione sovietica, ha coperto con una spessa coltre di silenzio la sorte dei condannati a morte e l’intero sistema penale capitale. Le notizie sulle esecuzioni filtrano dalle prigioni molto tempo dopo il fatto e solo tramite parenti dei condannati o tramite organizzazioni internazionali.
Le autorità hanno sempre fornito scarse segnalazioni sulle esecuzioni, ma recentemente la procedura è diventata ancora più segreta. Spesso nemmeno alle famiglie dei condannati è permesso sapere se e quali condannati a morte sono stati giustiziati e quali sono ancora in vita. I parenti non vengono avvisati dell’imminente esecuzione e non possono incontrare per l’ultima volta i loro congiunti. Alcune volte scoprono che il loro caro è stato giustiziato quando si recano alla prigione per la visita, altre volte quando ricevono un pacco contenente le scarpe e l’uniforme carceraria. Il corpo non viene restituito alla famiglia, non è reso noto il luogo della sepoltura.
Il segreto avvolge anche la “vita” nella prigione che ospita l’unico braccio della morte del Paese, la prigione n. 1, conosciuta anche come il castello di Pishchalovsky, situato nel cuore di Minsk, la capitale del Paese, dove almeno cinque persone sono in attesa della morte.
Il giorno stabilito, attraverso un passaggio sotterraneo, il condannato viene condotto alla stanza del boia che, letto l’atto di rigetto del perdono, lo benda e lo mette in ginocchio. Giustizia è fatta sparando un solo colpo di pistola, alla nuca. Nella stanza, oltre al boia, sono presenti un pubblico ministero e un medico. Le sentenze di morte vengono solitamente eseguite di notte in modo che altri prigionieri non possano identificare i carnefici o inscenare una protesta.
Questa è la sorte che non è dato sapere, ma molto probabilmente è capitata quest’anno a due condannati a morte: Viktar Skrundzik e Viktar Paulau.
Non è ancora chiaro se Viktar Skrundzik sia stato giustiziato ad agosto o a settembre, come farebbe pensare un ambiguo servizio televisivo andato in onda il 5 settembre scorso su STV, un canale televisivo controllato dal governo. L’autore del servizio ha raccontato la storia di una serie di omicidi di pensionati avvenuti vicino a Sluck nel 2019, per cui Viktar Skrundzik è stato infine condannato a morte nel marzo 2020, quando aveva 29 anni. Il narratore ha fatto capire che il condannato avrebbe potuto essere stato giustiziato. “Oggi ha 30 anni. Avrebbe potuto averli. La prima condanna a morte [eseguita] nel 2021”, ha detto il giornalista. Tuttavia, a oggi, la sorella di Skrundzik, Nadzeya, non ha ancora ricevuto alcuna conferma ufficiale dell’esecuzione. L’ultima lettera di suo fratello l’ha ricevuta il 19 agosto.
Nel mese di giugno, si erano perse le tracce di un altro condannato a morte, Viktar Paulau. “Molto probabilmente è stato giustiziato”, aveva detto Raisa, la sorella del prigioniero. Non aveva ricevuto alcuna lettera da Viktar per sei settimane e non le era stato permesso di entrare nella prigione per vedere suo fratello. Inoltre, il personale della prigione di Minsk aveva detto all’avvocato di Paulau che il suo assistito non si trovava più nella struttura. Tutti questi elementi hanno fatto pensare che sia stato giustiziato, anche se l’esecuzione non è stata mai confermata ufficialmente.
Dirk Schuebel, capo della delegazione dell’Unione Europea in Bielorussia, ha ricordato i due “desaparecidos” in occasione della Giornata mondiale contro la pena di morte, il 10 ottobre scorso. “Lo spazio per arbitri ed errori giudiziari è vasto”, ha detto Schuebel, sottolineando la mancanza assoluta di giustizia e stato di diritto nel Paese. Ragione sufficiente per l’introduzione di una moratoria, in vista dell’abolizione definitiva della pena di morte, eredità dell’impero del male, un altro ferrovecchio della storia dell’umanità.

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