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Il Presidente dello Zimbabwe Emmerson Mnangagwa
Il Presidente dello Zimbabwe Emmerson Mnangagwa
LO ZIMBABWE CANCELLA LA PENA DI MORTE (E LE ULTIME SCORIE DEL COLONIALISMO)

11 gennaio 2025:

Sergio D’Elia su l’Unita dell’11 gennaio 2025

Ancora una volta la buona novella giunge dalla terra dove l’antica vicenda di Caino e Abele ha conosciuto nei tempi più recenti momenti di terribilità sia nei delitti sia nelle pene. E giunge alla fine dell’anno, nel giorno di San Silvestro, il papa che secondo un’antica leggenda salvò Roma da un terribile drago che sul Palatino mangiava i cristiani. Silvestro gli serrò la gola con un filo di lana e il mostro smise di mordere.
La bella notizia è che il Presidente dello Zimbabwe Emmerson Mnangagwa ha firmato la legge che elimina per sempre la pena di morte e salva i 63 prigionieri in attesa di finire nelle fauci del drago assassino. Un atto salvifico che segna anche simbolicamente la parabola felice di una vita.
Durante la guerra degli anni ‘60 contro il dominio coloniale, Mnangagwa fu arrestato, torturato e condannato a morte per aver fatto esplodere un treno. Insieme a lui furono arrestati e poi impiccati alcuni suoi compagni di lotta. Per un cavillo giuridico la sua sentenza capitale fu invece commutata in dieci anni di reclusione. Li ha scontati tutti in varie prigioni del Paese dove ha continuato i suoi studi per corrispondenza. Dopo il rilascio, è stato deportato in Zambia dove ha completato la sua laurea in giurisprudenza.
Alla fine del 2017, il Presidente Robert Mugabe è stato deposto dopo 37 anni al governo dello Zimbabwe e sostituito proprio da Emmerson Mnangagwa. Il cambio è stato significativo anche per la politica sulla pena di morte. Verso la fine del suo mandato, Mugabe aveva intenzione di riprendere le esecuzioni. Annunci erano stati fatti per reclutare un boia, visto che il ruolo era rimasto vacante dal giorno dell’ultima esecuzione, il 22 luglio 2005, quando una donna, Mandlenkosi “Never” Masina Mandha, è stata impiccata dopo essere stata condannata per omicidio.
Mnangagwa, viceversa, è stato chiaro nella sua opposizione all’uso della forca. Lo aveva ribadito anche a noi di Nessuno tocchi Caino quando lo abbiamo incontrato nel corso di una missione volta a portare lo Zimbabwe a votare a favore della Risoluzione ONU sulla moratoria delle esecuzioni capitali.
“La pena di morte è la negazione ultima dei diritti umani e un omicidio a sangue freddo e aberrante di un essere umano da parte dello Stato in nome della giustizia,” ha detto.
Da ministro della giustizia Mnangagwa non aveva firmato nessun decreto di esecuzione. Da presidente della repubblica ha graziato decine di condannati a morte.
L’ultima volta lo ha fatto il 18 aprile scorso, quando lo Zimbabwe ha celebrato 44 anni di indipendenza dal governo della minoranza bianca, terminato nel 1980 dopo una sanguinosa guerra nella boscaglia. Il nome del paese è stato cambiato da Rhodesia in Zimbabwe. Il presidente Mnangagwa lo ha festeggiato con una amnistia, la seconda in meno di un anno.
Detenuti originariamente condannati a morte e che hanno avuto la loro condanna commutata in ergastolo in precedenti atti di clemenza e che sono stati in prigione per almeno 20 anni, sono stati liberati. Tutte le prigioniere che avevano scontato almeno un terzo della loro pena, sono state liberate. Tutti i detenuti minorenni che hanno scontato lo stesso periodo di pena, sono stati liberati. Tutti quelli di età pari o superiore a 60 anni che hanno scontato un decimo della loro pena, sono stati liberati. Mnangagwa ha anche graziato i ciechi e gli altri disabili che hanno scontato un terzo della loro pena.
Culturalmente e storicamente, prima dell’era coloniale, non esisteva nel Paese l’usanza di uccidere qualcuno perché aveva ucciso qualcuno. La pena di morte fu introdotta dagli inglesi negli anni ‘80 dell’Ottocento, prima da Cecil Rhodes e dalla British South Africa Company e poi confermata nel 1923 dalla colonia britannica autonoma. Prima di allora le persone non venivano generalmente condannate a morte. La risposta ai crimini più gravi si ispirava alla cultura tradizionale Ubuntu, una parola che si riferisce a un modo di pensare, di sentire e di agire molto intensi e che può essere tradotta come “umanità attraverso gli altri” o “benevolenza verso il prossimo”.
Finalmente, la cultura tradizionale Ubuntu, che si concentra sulla pace e la riparazione, ha sconfitto la pratica della violenza e della forca esportata dall’Europa un secolo e mezzo fa. Con l’abolizione della pena di morte lo Zimbabwe cancella l’ultimo retaggio del suo passato coloniale, e può dire di essersi davvero liberato della Rhodesia, “quella terra di pirateria e di saccheggio” come la definì Mark Twain, che dal suo primo padrone, Cecil Rhodes, aveva tratto il nome.

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