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C’È UN LUOGO DOVE LA DISUMANITÀ È NORMALITÀ: LA PRIGIONE

11 gennaio 2025:

Cesare Burdese su l’Unita dell’11 gennaio 2025

Prossimo il 2025, insieme a Nessuno tocchi Caino, ho visitato il carcere di Bergamo, limitatamente alla zona colloqui, alla sezione isolamento e alla sezione ex articolo 32 maschili. La condizione detentiva turba, al punto che qualcuno in visita ha pianto.
Ne illustrerò un aspetto che è anche quello del carcere in generale: nella grande umanità degli operatori, la strutturale disumanità dei luoghi quotidianamente vissuta come normalità.
Quel carcere, in funzione e immutato dal 1978, causa terrorismo e nuova criminalità organizzata, fu progettato per garantire la massima sicurezza; monolitico, monotono, fortemente frazionato e compartimentato, privo di verde, presenta soluzioni architettoniche che mortificano i bisogni e invalidano i sensi.
Le presenze, doppie rispetto i 319 posti disponibili, annullano la dignità e pregiudicano le attività trattamentali.
In gruppo, sono entrato nell’area detentiva da un nudo locale, dove giocattoli gettati a terra alla rinfusa mi hanno procurato sconforto e desolazione. Diretti alla zona colloqui ci siamo imbattuti in personaggi dei cartoni animati dipinti su un muro esterno della palestra, che ho visto come un pietoso ma ingannevole tentativo di abbellire il carcere per i bambini casuali visitatori. Giunti alla sala colloqui, dopo aver camminato allo scoperto, stretti tra l’alto muro di cinta e il fronte di anonimi edifici, siamo entrati in un atrio, completamente privo di arredi e illuminato artificialmente; lì mi hanno colpito le scure porte metalliche di accesso. Le sale hanno tavolini e sedie dozzinali, le finestre sono protette da inferriate che pregiudicano le visuali e costringono a tenere accesa la luce anche di giorno, le pareti sono disadorne. La loro configurazione e la prescrizione normativa dell’obbligo del controllo visivo da parte degli agenti, nonostante da quasi un anno una sentenza della Corte Costituzionale l’abbia ritenuto illegittimo, precludono privacy e intimità durante i colloqui. Gli agenti di guardia permangono isolati in appositi stalli vetrati prospicienti le sale che, rumorose e claustrofobiche, non dispongono di aree esterne. Uno spazio per i colloqui all’aperto esiste, utilizzabile solo su prenotazione e in alternativa allo stare al chiuso.
Torno con la memoria alle indicazioni della commissione ministeriale, della quale ho fatto parte nel 2013, per migliorare le sale d’attesa e dei colloqui, con attenzione alla presenza di bambini piccoli, a oggi in gran parte disattese.
Percorrendo un lungo corridoio claustrofobico raggiungiamo la rotonda delle sezioni detentive maschili, illuminata artificialmente e dominata dall’ingombrante bancone circolare in muratura degli agenti che presidiano le sezioni circostanti. Un luogo dove non si intravede una particolare attenzione per il benessere psico-fisico dei lavoratori, come richiesto dalla norma nei luoghi di lavoro.
La “sezione isolamento” consiste in un lungo corridoio illuminato con luce artificiale, sul quale contrapposte si affacciano una cinquantina di misere celle, martoriate e fatiscenti. Esse, dove la coabitazione è problematica per le loro ridotte dimensioni e la privacy è una chimera, non godono di sufficiente luce naturale per via della inferriata e della rete metallica sulla finestra e sono sprovviste di arredi adeguati. Il servizio igienico privo di doccia, dove la funzionalità impiantistica è precaria, funge anche da cucina. Le celle rimangono aperte almeno otto ore al giorno, consentendo ai detenuti di deambulare nel corridoio di sezione e di riunirsi in una saletta squallida, carente nell’arredo e male illuminata, definita pomposamente saletta della socialità.
I detenuti possono permanere all’aperto poche ore al giorno, in angusti e decrepiti cortiletti cubicolari, senza servizio igienico, cementati e sovrastati da inferiate che evocano un canile; la sporcizia domina ovunque. La presenza di persone detenute con forte disagio mentale, determina eventi critici, come è successo durante la visita, esasperando le condizioni abitative descritte.
La sezione ex articolo 32 ospita coloro che abbiano un comportamento che richiede particolari cautele ma anche, causa il sovraffollamento, detenuti che non dovrebbero esserci. Stipati all’inverosimile nelle celle, i detenuti vi rimangono rinchiusi per 20 ore consecutive, potendo usufruire di 4 ore giornaliere per permanere all’aperto in cortili totalmente cementati. Complessivamente la configurazione architettonica della sezione è analoga a quella della precedente e le criticità funzionali sono le stesse.
Al termine della visita, uscendo dal carcere abbiamo incrociato un gruppo di parenti che con i loro bambini andavano ai colloqui. Di fronte a quei bambini, mi sono sentito in difficoltà, ancora scosso dalla disumanità che i protagonisti vivono come normalità.

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