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Shahjahan Bhuiyan
Shahjahan Bhuiyan
È MORTO IL BOIA PIÙ SPIETATO DEL BANGLADESH: ERA UN DETENUTO

6 luglio 2024:

Sergio D’Elia su l’Unità del 6 luglio 2024

Alcuni giorni fa è morto il boia più mortale del Bangladesh. Era entrato in carcere da criminale, in carcere è diventato giustiziere di criminali. Non è un fatto raro nei regimi autoritari che gli stessi prigionieri siano incentivati o costretti a effettuare le esecuzioni dei loro compagni di prigionia. Come a quelli a cui ha tirato il collo, il suo cuore si è fermato alle prime luci dell’alba. Non in prigione, ma in un ospedale dove era stato portato d’urgenza dopo aver lamentato un dolore al petto. Come quelli cui ha stretto il cappio intorno al collo, ha avuto difficoltà respiratorie. Come quelli del braccio della morte, viveva solo come un cane nella sua casa di Hemayetpur. Come accade a quelli che sono impiccati, completate le procedure legali, il corpo è stato consegnato alla famiglia.
Aveva 74 anni, Shahjahan Bhuiyan, quando è morto. Ne aveva appena venti quando è diventato un rivoluzionario marxista e si è unito ai ribelli del Sarbahara, un partito comunista del Bangladesh che ha avuto un ruolo nella lotta per l’indipendenza del Paese. Ha fatto la lotta armata a sostegno del nuovo Stato del Bangladesh. Poi è stato condannato a 184 anni nel 1991 per tre reati distinti: in un caso per violazione della disciplina come soldato dell’esercito, in un altro per rapina e nel terzo sia per rapina che per omicidio come membro di una banda criminale.
La sua condanna fu poi commutata a 42 anni in appello e avrebbe dovuto essere rilasciato nel 2035.
Shahjahan Bhuiyan è diventato boia mentre scontava la sua pena dietro le sbarre della prigione più importante del Paese.
Anno dopo anno, ha ridotto il fine pena giustiziando i condannati nel braccio della morte. Ha ottenuto la libertà in anticipo impiccando criminali di guerra, rapinatori e serial killer.
Ha effettuato almeno 26 esecuzioni. Secondo lo stesso Bhuiyan, il totale sarebbe almeno di 60. Il suo lavoro come capo boia è stato premiato con un rilascio anticipato di dieci anni dalla prigione centrale di Dhaka dopo aver scontato 31 anni, sei mesi e due giorni. Se sono state davvero 60 le sue impiccagioni, il conto è presto fatto: per ogni esecuzione due mesi di liberazione anticipata. Rivoluzionario dell’opposizione prima dell’indipendenza del Paese, da boia del Bangladesh libero ha impiccato i politici dell’opposizione Ali Ahsan Mujahid e Salahuddin Quader Chowdhury, accusati di crimini di guerra. Quattro mesi di sconto sulla pena! Da indisciplinato soldato dell’esercito, in carcere ha giustiziato sei militari colpevoli dell’omicidio di Sheikh Mujibur Rahman – leader fondatore del Paese e padre dell’attuale primo ministro Sheikh Hasina.
Un anno di condono! Da boia seriale ha tirato il collo al serial killer Ershad Shikder. Altri due mesi di riduzione della pena! Bhuiyan ha anche giustiziato alcuni leader del gruppo islamico Jamaat-ul-Mujahideen Bangladesh ed è stato premiato con altre mensilità di carcere in meno.
Una volta gli è stato chiesto: perché fai il boia al posto del governo? Bhuiyan si è difeso dicendo: “Se non li avessi impiccati io, lo avrebbe fatto qualcun altro”. Ma la sua non è stata un’attività di rieducazione esemplare e di volontariato disinteressato. Il suo desiderio di ridurre la pena è stato premiato per la “buona condotta” delle esecuzioni di stato, la sua uscita di prigione è stata anticipata per il “lavoro di pubblica utilità” della impiccagione dei suoi compagni di prigionia.
Il boia più letale del Bangladesh ha scritto anche un libro sulle sue esperienze, “How Was the Life of Hangman”, com’era la vita da boia, una vivida descrizione dei rituali prima di un’esecuzione e delle reazioni di alcuni detenuti.
Racconta che uno di loro era paralitico, ed è stato impiccato seduto perché non poteva reggersi in piedi.
L’idea di scrivere le sue memorie – ha detto – gli è venuta in mente durante la sua lunga pena in prigione, dove aveva praticamente ben poco da fare se non essere di tanto in tanto chiamato per il triste dovere di giustiziare i suoi compagni di detenzione. “Volevo che le persone prendessero lezioni dalla mia vita. Non voglio che altri commettano lo stesso errore”. L’errore che ha riconosciuto è di aver fatto ricorso al crimine contro lo Stato. Nessun rimpianto, invece, di aver lavorato come carnefice di Stato. Pace all’anima sua.

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