PATRIA DELLA LIBERTÀ? NEGLI STATI UNITI 200.000 ERGASTOLANI
5 novembre 2023: Valerio Fioravanti su L’Unità del 5 novembre 2023
Finalmente qualcuno sospetta che 200.000 ergastolani in un solo Paese siano troppi. L’Organizzazione delle Nazioni Unite, lo sappiamo, ha poteri molto limitati, e per questo motivo ha tanti detrattori che la definiscono “inutile”. Sulle grandi cose, le guerre, le invasioni, i disastri naturali sì, l’Onu in tempi brevi non riesce quasi mai a fare cose risolutive. Però è una tribuna importante, e lo è ancor di più quando si tratta di cause che i mass media ritengono “minori”, di poco interesse, o che comunque riguardano posti troppo lontani, o persone di poco rilievo. Pochi giorni fa, nella sede di Ginevra, ha concluso la sua 139.ma sessione quadrimestrale il Consiglio dei Diritti Umani, che si è occupato anche degli Stati Uniti. Ogni Stato membro dell’Onu viene sottoposto a quella che si chiama “revisione periodica”. Con una ciclicità di quattro anni e mezzo, per ogni Paese vengono convocati esperti, eventuali “relatori speciali” nominati in precedenza per casi particolarmente rilevanti, e Organizzazioni Non Governative considerate rappresentative. Come dicevamo, quest’anno è stata “revisionata” anche la situazione dei diritti umani all’interno degli Stati Uniti. Con una novità rispetto al passato: non solo la pena di morte, ma anche “l’altra pena di morte”, ossia l’eccesso di ergastoli. Quattro associazioni statunitensi (Releasing Aging People in Prison, Visiting Room Project, California Coalition for Women Prisoners, Abolitionist Law Center) hanno portato altrettanti ex ergastolani a relazionare su quello che sembra a tutti gli effetti un paradosso: la nazione che ritiene di incarnare i valori della libertà più e meglio di ogni altra al mondo tiene rinchiusi nelle sue prigioni 203.800 ergastolani, forse anche di più visto che l’ultimo conteggio è di tre anni fa. Praticamente negli Usa, ogni 1.500 abitanti, uno è condannato all’ergastolo. Per fare un raffronto, in Italia c’è un ergastolano ogni 32.780 abitanti, ventidue volte di meno. Come Nessuno Tocchi Caino registra ogni anno nel momento in cui vengono pubblicate le statistiche più complete, il livello medio di criminalità violenta in Europa è cinque volte più basso di quello statunitense, sempre considerando la popolazione. E nella statistica europea l’Italia, che ci si creda o no, figura da tempo tra i paesi meno violenti. L’Europa usa molto meno carcere degli Stati Uniti, e sembra che ne ottenga in cambio società molto meno violente. Ma torniamo a Ginevra. Hanno preso la parola davanti ai membri del Consiglio Stanley Jamel Bellamy, Anthony Hingle, una donna, Kelly Savage-Rodriguez, e Robert Saleem Holbrook. Hanno spiegato che “tecnicamente” l’argomento in questione si chiama non pena di morte, ma morte per pena, in inglese Death By Incarceration. E gli ergastoli sono di tre tipi diversi: l’ergastolo senza condizionale, che non prevede mai la scarcerazione (e quindi porta alla morte in carcere), poi c’è l’ergastolo “normale”, che prevede la possibilità di essere rilasciati “sulla parola” dopo un periodo che a seconda degli Stati varia tra i 20 e i 30 anni, e infine c’è l’ergastolo “virtuale”, ossia le pene che superano la normale aspettativa di vita, come essere condannati a 65, 80 o 100 anni di detenzione. I quattro testimoni hanno raccontato le loro vicissitudini: tutti arrestati molto giovani, tutti appartenenti a minoranze etniche, e tutti rilasciati, dopo tanto carcere scontato, grazie a Governatori (pochi) che nei loro Stati hanno promosso leggi di “riequilibrio delle condanne”, soprattutto rivolte alle persone arrestate quando erano molto giovani. I quattro testimoni, oltre a far notare che 2/3 di tutti gli ergastolani sono “di colore”, intendendo con questo sia neri che ispanici, hanno lamentato una cosa ineccepibile: sembra che il sistema penale statunitense non voglia prendere atto che gli esseri umani, col passare del tempo, di decenni, possono cambiare. “Gli Stati Uniti dovrebbero vergognarsi di sé stessi perché siamo l’unico Paese che parla di persone usa e getta”, ha detto Bellamy. “A livello internazionale dobbiamo fare pressione sugli Stati Uniti e fargli capire che le persone cambiano”. “Siamo esseri umani e abbiamo bisogno di essere riconosciuti come tali”, ha continuato. I membri del Comitato sono stati chiaramente commossi dalle testimonianze, facendo riferimento direttamente alla morte per incarcerazione nelle loro osservazioni e chiedendo alla delegazione del governo degli Stati Uniti di spiegare la sproporzione dei detenuti di colore. Nei primi giorni di novembre verrà pubblicato il rapporto sulla “revisione” degli Stati Uniti. Nessuno sarà scarcerato il giorno dopo, certo, ma intanto il problema è stato sollevato.
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