MBS E LA PENA CAPITALE, TANTE PROMESSE ZERO FATTI
25 febbraio 2023: Elisabetta Zamparutti su Il Riformista del 24 febbraio 2023 Reprieve è una organizzazione non governativa britannica, fondata dal celebre avvocato Clive Stafford Smith. Il nome significa “tregua”, nel senso di sospensione riferita a un’esecuzione o condanna capitale. Naturale che ci incontrassimo. E l’incontro con Nessuno tocchi Caino, l’associazione che ha concepito la “tregua” universale delle esecuzioni capitali, è avvenuto sulla battaglia per porre fine alla produzione in Italia di un farmaco, il pentotal, utilizzato in America nei protocolli dell’iniezione letale. Avemmo successo nel bloccarla, con ricadute mondiali. Era il 2010 e da allora siamo rimasti in contatto. Di recente ho ricevuto il loro rapporto sulla pena di morte in Arabia Saudita, realizzato in partnership con la European Saudi Organisation for Human Rights. Si documenta che da quel 2010 al 2021 i giustiziati, che in Arabia Saudita vuol dire decapitati, sono stati 1.243. Sono invece 147 quelli del 2022, macabro anno che ha visto l’esecuzione di massa di ben 81 persone in un solo giorno. Era il 12 marzo 2022. Ma è nel regno di Salman, salito al trono nel 2015, con suo figlio Mohammed bin Salman divenuto due anni dopo Principe ereditario e Primo Ministro, che la morte ha inondato il tavolo della giustizia. Con loro, le esecuzioni sono infatti aumentate dell’82%: se la media delle esecuzioni tra il 2010/14 era di 70,8 esecuzioni all’anno, tra il 2015/22 questa è salita a 129,5. I sei anni orribili per numero di esecuzioni nella storia recente ricadono tutti sotto il regno dei Salman, padre e figlio. Sotto il loro regno, hanno fatto mozzare la testa ad almeno 11 minorenni al momento del reato, sei dei quali in un solo anno, nel 2019. Mohammed bin Salman si è presentato al mondo come un riformatore che intendeva fare progredire i diritti del gentil sesso come parte importante della sua Agenda 2030. Ora le donne possono effettivamente guidare e sono più presenti negli uffici pubblici, ma le attiviste vengono arrestate, minacciate di morte e torturate. I dati, non pubblici, faticano a raccontarci cosa accade veramente alle donne che finiscono nel braccio della morte. Certo è che 31 sono state giustiziate dal 2010, 23 delle quali erano straniere, per lo più lavoratrici domestiche, una perfino minorenne al momento del fatto. Quel sistema che si chiama kafala nel quale queste straniere sono inserite ha i tratti di una forma moderna di schiavitù. Insomma, c’è una compressione dei diritti che come niente ti può portare con la testa sul ceppo e lì perderla per un colpo di spada. E questo vale anche per gli uomini. Sui 1.243 giustiziati dal 2010 al 2021, almeno 490 erano stranieri. Le nazionalità maggiormente colpite sono quelle dei pachistani, degli yemeniti e dei siriani. Gli stranieri sono una considerevole percentuale di quelli giustiziati per droga. Il 74% delle 386 esecuzioni per droga nel decennio considerato, riguarda infatti cittadini non sauditi. Parliamo per lo più di corrieri della droga. In questo salto nel buio del diritto e dei diritti, possiamo immaginare come il diritto alla difesa – poter contare sull’assistenza di un interprete, di un avvocato o del proprio consolato – sia un lusso che non si possono permettere gli ultimi ed emarginati del regno. Quando parliamo di droga, parliamo di reati non letali, per i quali, non solo il diritto internazionale vieta la pena di morte, ma lo stesso Principe ci aveva indotti a credere, dalle pagine di Time nel 2018, che di lì a poco non sarebbero stati più considerati reati capitali. Un impegno ribadito due anni dopo da un alto funzionario saudita al Washington Post. Con addirittura la Commissione saudita per i diritti umani che nel 2021 si era sbilanciata su Twitter a spiegare che il calo nel numero di esecuzioni per quell’anno era dovuto a una moratoria delle esecuzioni per droga che sarebbe stata introdotta. Una moratoria di cui però nessuno ha visto traccia. Tant’è che delle 81 esecuzioni compiute in un unico giorno dell’anno scorso, ben 58 erano per fatti non letali. Cambiare l’abitudine di essere se stessi è quanto di più difficile si possa fare. Vale per i singoli individui, vale per i sistemi di potere. Figurarsi per i regimi. Continuo a pensare che le promesse di Mohammed Bin Salman fatte sulle pagine patinate di Time avessero una loro autenticità. Ma resistere ai richiami delle forze conservatrici, finanche ancestrali, richiede una elevazione della coscienza che non è da tutti. Certamente non di questo Principe. Però tutti possiamo aiutare a cambiare. Tutti possiamo aiutare a far capire, anche all’Arabia Saudita, che i diritti umani sono un patrimonio universale e che, come dice la Risoluzione approvata anche quest’anno dall’Assemblea generale dell’ONU a stragrande maggioranza, una moratoria sull’uso della pena di morte contribuisce al rispetto della dignità umana, al rafforzamento e al progressivo sviluppo dei diritti umani. Reprieve, appunto!
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