IL DRAMMA DI ANGELO, CHIUSO IN CELLA CON LE VOCI NELLA TESTA
2 ottobre 2021: Veronica Manca e Nicola Galati su Il Riformista del 1° ottobre 2021 Angelo e i suoi occhioni neri, fari di luce nelle tenebre della cella; dietro le sbarre, non solo fisiche. Quando conobbi Angelo, compresi, all’istante, che voleva narrare una storia diversa da quella che emergeva dalle carte. Poche parole, sguardo perso nel vuoto: “Avvocato, non mi crede nessuno, ma io sento le voci; sono loro che mi dicono che sono diverso; alle volte mi fanno paura; alle volte mi fanno compagnia; sono il mio mondo”. La situazione era chiarissima; un solo colloquio era sufficiente per capire che lì Angelo non ci sarebbe dovuto mai entrare. Eppure il suo caso, come quello di tanti altri, ha reso tangibile che la malattia mentale in carcere non esiste e le persone malate sono invisibili. Non solo. Ha messo in luce che l’infermità di mente non riesce nemmeno ad emergere in sede processuale: chi si pone o si dovrebbe porre la questione? Esistono processi in cui, per il tipo di imputato, non si sollevi la questione? Esistono difese tecniche o d’ufficio, per cui non vale la pena percorrere strade, ardue, solitarie, ma di giustizia? Chiunque indossi la toga, magistrato o difensore, con dignità, serietà e profondo senso di responsabilità, sa perfettamente che la risposta non può essere che una sola. La Giustizia non ha volti né ceti né classi sociali: i diritti sono di tutti e tali vanno garantiti. Anche, e soprattutto, ad Angelo. Uno straniero, emarginato sociale, povero, senza padre, rimasto in Bulgaria, una madre malata e sola; una lunga storia di strada, droga e acidi; una lunghissima storia di solitudine e abbandono, in cui la malattia mentale non solo ha potuto fiorire, ma ha rappresentato l’unico elemento salvifico: le voci terrificanti, quella “famiglia” che riempiva il vuoto di una vita destinata a spezzarsi, nella solitudine e nel dramma più assoluto. Angelo è in carcere ed è accusato di violenza sessuale: lo stigma più pesante. Il processo corre veloce, secondo cadenze e istruttoria già stabilita, a condanna altamente probabile. Intervenire a storia processuale scritta non è facile per nessuno, né per il difensore né tanto meno per le altre parti processuali. Ma la toga impone e insegna che se l’evidenza fattuale è così lampante e distante dalla verità che è in corso di scrittura nel processo, l’interruzione del processo è atto dovuto. Con buona pace dell’eco mediatica, del giustizialismo e del populismo penale: perché il processo è verità e giustizia; e ciò bisogna ribadirlo continuamente, nella lotta contro le ingiustizie e a difesa dei diritti. Il resto è storia. Angelo è stato assolto, con formula piena. Conclusione che non può distrarci da alcuni interrogativi ineludibili. Per Angelo il sistema ha infine funzionato, ma quante altre storie simili hanno purtroppo finali diversi? Quante persone sono abbandonate in una cella ad affrontare la loro malattia, senza avere la fortuna di incontrare la determinazione e la sensibilità di tutti gli attori del processo? Quanto ad Angelo, perché non ha avuto prima l’assistenza e le attenzioni di cui aveva bisogno? La nostra società deve ancora fare pienamente i conti con la malattia mentale, non si possono ignorare ed escludere le persone come Angelo, magari lasciando che sia il sistema penale a farsi carico di compiti che non gli spettano e di problemi che non potrà mai risolvere. Per una volta Angelo ha sentito delle voci non dentro ma fuori di sé, voci non ostili, che non lo giudicavano e non lo condannavano, voci che lo assolvevano. Se solo avesse sentito prima voci amiche intorno a sé, si sarebbero evitate tante sofferenze per lui e per gli altri. Infine, per l’avvocato resta la consapevolezza di non doversi mai fermare ai freddi atti di una causa, di dover esplorare l’umanità che ha dinanzi a sé, di poter aiutare chi sembra ormai perduto. Così, alle solite domande retoriche sul come si possano difendere coloro che sono accusati di reati orribili, potrà dire di aver trovato la risposta negli occhioni neri di Angelo.
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