LA GUERRA CIECA DEI DRONI CHE UCCIDE I DIRITTI
11 settembre 2021: Elisabetta Zamparutti su Il Riformista del 10 settembre 2021
Il 29 agosto, mentre stavano decollando gli ultimi voli militari statunitensi dall’aeroporto di Kabul, un drone planava in un quartiere limitrofo provocando la morte accidentale di nove membri di una famiglia, tra cui sette bambini. Il drone, pilotato da remoto da una base negli Emirati Arabi, a più di 1.000 chilometri di distanza, secondo il comando centrale americano ha colpito un’autobomba con un paio di militanti dell’ISIS sventando così un altro attentato all’aeroporto di Kabul. In merito alla notizia che come evento collaterale vi sono state vittime civili, gli americani hanno detto che indagheranno. La stessa cosa l’hanno detta i talebani, condannando l’attacco e il fatto di non esserne stati informati, come invece sarebbe dovuto avvenire secondo quanto avrebbero previsto gli accordi sul ritiro delle truppe americane. Intanto, Zamaray (40 anni) insieme a Naseer (30 anni), Zameer (20 anni), Faisal (10 anni), Farzad (9 anni), Armin (4 anni), Benyamin (3 anni), Ayat, e Malika (2 anni) vanno ad aggiungersi alle vittime civili della “guerra al terrore con il terrore” combattuta in Afghanistan negli ultimi 20 anni. Secondo i dati raccolti dal Bureau of Investigative Journalism di Londra, solo nell’ultimo lustro, dal 2015 al 2020, vi sono stati in Afghanistan almeno 13.072 attacchi con droni, che hanno provocato dalle 4.126 alle 10.076 vittime, tra cui 300-909 civili e 66-184 bambini. Lisa Ling, che ha lavorato come tecnico di droni per l’esercito americano in Afghanistan, oggi whistleblower, ciò fonte di informazione sull’uso degli stessi, segnala che le vittime civili provocate dai droni devono essere indagate e considerate crimini di guerra. “Penso che ogni attacco per il quale ci riferiscono abbia provocato morti di civili dovrebbe essere accuratamente indagato dalla Corte Penale Internazionale e la comunità internazionale dovrebbe ascoltare”, aveva detto in una intervista a Foreign Policy. Le missioni dei droni si sono progressivamente intensificate, anche grazie ai miglioramenti tecnologici, per colpire obiettivi terroristici e militari. Oltre a intensificarsi, l’uso dei droni è stato anche esteso e coperto da una crescente segretezza. Un’escalation che ha coincidenze con le politiche di disimpegno militare. Non sono certo solo gli Stati Uniti a far ricorso a queste armi “intelligenti”. Sta di fatto che nel corso della presidenza Obama, le uccisioni sono state ampliate fino a includere anche cittadini americani all’estero (seppure di origini arabe) sospettati di attività anti-americane, cittadini che in patria avrebbero avuto un processo con tutte le garanzie possibili, anche quelle previste dal sistema arcaico della pena capitale. L’amministrazione Trump ha poi revocato il provvedimento introdotto da Obama nel 2016 sulla registrazione e pubblicazione delle vittime civili in operazioni segrete di antiterrorismo. Una regola considerata “superflua”. Superfluo far conoscere chi viene ucciso e perché? La successione tra democratici e repubblicani non ha visto, salvo certo dei distinguo, una soluzione di continuità. Sin dall’inizio, nel settembre 2001, George Bush promise vendetta per il peggior attacco terroristico contro l’America: “li staneremo, li faremo correre e li assicureremo alla giustizia”. Da allora sono trascorsi venti anni, ma Joe Biden continua a promettere vendetta. “Vi daremo la caccia e ve la faremo pagare,” ha tuonato dopo l’attentato all’aeroporto di Kabul. Il fatto è che, dopo l’11 settembre, si è deciso di combattere una guerra al terrore con il terrore. La natura odiosa dei crimini compiuti si è trasformata in una malattia insidiosa che ci ha indotti a sacrificare diritti e libertà nel nome della sicurezza. Pur di estirpare il terrorismo si sono giustificate le più gravi violazioni dei diritti umani. Ci si è dimenticati che non vi è antinomia tra il dovere degli Stati di difendere i diritti delle persone minacciate dal terrorismo e la responsabilità di garantire tale difesa senza minare gli altri diritti. Perché ci sono principi, norme e obblighi che definiscono i limiti dell’ammissibilità e della legittimità stessa dell’azione statale contro il terrorismo. Gli sforzi internazionali e nazionali finalizzati al riconoscimento, senza discriminazione, dei diritti civili, culturali, economici, politici e sociali di tutte le persone e volti ad affrontare l’esclusione politica, economica e sociale, sono essi stessi gli strumenti più adeguati a prevenire e sradicare il terrorismo. Contro la violenza omicida e suicida dei fanatici, l’arma intelligente allora non è il drone, assassino e cieco anch’esso, ma la nonviolenza che disarma il “nemico” e arma lo Stato della forza propria del diritto, della vita, della libertà.
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