NEANCHE UN’ORA DI ‘LIBERTÀ’ DOPO UNA VITA DI RECLUSIONE DAL CLAUSTROFILO TRIBUNALE DI CATANZARO… INTANTO IN CARCERE SI MUORE DI PENA E DI MALASANITÀ
11 settembre 2021: Il 16 agosto una delegazione del Partito Radicale e di Nessuno tocchi Caino ha fatto visita al Carcere di Catanzaro. Il giorno dopo, Teofilo Adeodato, un detenuto promosso sul campo “osservatore speciale” di Nessuno tocchi Caino, ci ha mandato un testo che qui pubblichiamo (altri seguiranno). Alcuni giorni dopo, la lettera di un altro detenuto, Luigi Iannaco, ci ha comunicato la triste notizia di una “morte annunciata e voluta di un uomo solo perché detenuto”. Michele Carosiello, un uomo di 40 anni di Cerignola, padre di due figlie, dopo dieci giorni di febbre alta e a seguito delle proteste dei detenuti, era stato finalmente ricoverato all’ospedale di Catanzaro dove, purtroppo, il 23 agosto è morto di setticemia. “La sua famiglia ha avuto il coraggio, l’ardire, e l’umanità di portarlo da morto sotto il carcere per fargli dare l’ultimo saluto da parte nostra. Ho visto quella bara, ho visto la moglie e ho visto due ragazzine che sono le sue figlie, e in quel momento mi sono rivisto in quella bara,” scrive Luigi Iannaco nella lettera sottoscritta da altri 14 detenuti. Teofilo Adeodato L’articolo 3 della Costituzione afferma che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge... È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, mentre l’Ordinamento Penitenziario, che a questo articolo oltre che all’articolo 27 s’ispira, dichiara all’articolo 1 che “il trattamento deve essere conforme a umanità e deve assicurare il rispetto della persona... tende al reinserimento sociale ed è attuato secondo un criterio di individualizzazione.” Parole d’un nitore adamantino, principi luminosissimi e profondi, di civiltà. Peccato siano smentiti categoricamente dai fatti. Basti citare l’impossibilità pei detenuti di votare (dunque partecipare alla vita del paese) e, per diverse migliaia di questi, di accedere a forme alternative di espiazione in virtù di un sempre più ampio regime ostativo inquadrato dall’art. 4-bis O.P., un vero e proprio insulso doppio binario, donde si vien giudicati per la tipologia del reato (altro che criterio individualizzante!). In Italia, purtroppo, bisogna pregare Iddio e sperare di finire in un carcere ove questi principi sono recepiti e applicati, in particolare dai magistrati di sorveglianza competenti per territorio. Ma, ahinoi, son davvero pochi quelli che hanno un tale orientamento giuridico-culturale. Una storia di ordinaria ostatività è, ad esempio, quella di M.S., ergastolano di 70 anni d’età e 30 di detenzione, effettiva e ininterrotta dal ’91 (con buona pace di quelli che amano ripetere che “l’ergastolo in Italia nessuno lo sconta”, “pochi anni e stanno fuori”). M.S. rimase vedovo tre anni fa, ma a far visita alla moglie non poté andare poiché secondo il magistrato di sorveglianza di Catanzaro, in fede a una informativa di P.S., “per accedere alla cappella privata del cimitero Nuovissimo di Poggioreale, ove era tumulata la moglie, occorreva contattare i familiari della stessa, fatto che poteva creare problemi di ordine e sicurezza pubblica all’interno del cimitero stesso”. Rigettando l’appello del M.S., sulla falsariga del magistrato, il tribunale di sorveglianza ha rincarato la dose dicendo che “il cimitero di Napoli è, dal notorio assai noto (sic!), luogo di incontri-scambi-profitti-gestione da parte dei camorristi apicali”. Non sappiamo se e quanto le note serie televisive nostrane abbiano influito su una tale motivazione, ma siamo persuasi che in tutta questa storia il “conforme a umanità” e il “rispetto della persona” siano andati del tutto smarriti. Inoltre, M.S., per vedersi riconosciuta la “inesigibilità della collaborazione” al fine d’accedere a qualche beneficio è dovuto ricorrere più volte per Cassazione. Il fatto è che M.S. risulta aver espiato da anni la parte ostativa della sua pena e che proprio per ciò gli fu revocato il 41-bis; che il “fine pena mai” che sconta, pertanto, è “comune” e che non dovrebbe stare in un circuito d’Alta Sicurezza qual è quello in cui si trova. Per cinque anni M.S. ha assistito a un ping pong tra Suprema Corte e Tribunale di Sorveglianza, con quest’ultimo che non voleva rassegnarsi a recepire e riconoscere quanto era evidente per i supremi giudici e, in un certo senso, l’ha avuta vinta: dopo che è intervenuta la Consulta con la nota sentenza del 2019 – quella che, secondo Travaglio&Co, avrebbe liberato orde di mafiosi – che ha rimosso la preclusione assoluta di benefici a condannati per reati targati 4-bis, non v’era più materia del contendere. Vedremo se e quando al M.S. sarà concessa un’ora di “libertà” dopo una vita di reclusione. Pur consapevoli dell’orientamento claustrofilo del magistrato di sorveglianza di Catanzaro, non è da noi disperare che abbiamo fatto di “Spes contra spem” la nostra “divisa”, come il Profeta Abramo. Semplicemente gridiamo “nessuno tocchi Caino” per una giustizia senza vendetta, che salvi innanzitutto lo Stato dal marchio di Caino. (Continua)
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