IRAN - IHR:13° Rapporto sulla Pena di Morte in Iran
30 marzo 2021: IHR ha pubblicato il suo 13° Rapporto sulla Pena di Morte in Iran. Almeno 267 persone sono state giustiziate nel 2020. (NtC, che prende in considerazione anche altre fonti oltre a IHR, per il 2020 ha contato 284 esecuzioni) Il rapporto, da quest’anno co-firmato anche da ECPM (Ensemble Contre la Peine de Mort), indica che nonostante la pandemia COVID-19, la Repubblica islamica ha continuato a compiere esecuzioni come negli anni precedenti, e nel 2020 è stato l'unico paese al mondo ad aver giustiziato minorenni. La pena di morte è stata utilizzata anche per reprimere manifestanti, minoranze etniche, e giornalisti. Di converso, abbiamo assistito a campagne di massa online di milioni di iraniani che esprimevano la loro opposizione alla pena di morte, e al forte aumento del numero di famiglie delle vittime di omicidio che hanno scelto il risarcimento (diya, prezzo del sangue) o il perdono rispetto all'esecuzione. Mahmood Amiry-Moghaddam, direttore di IHR, ha dichiarato: "L'uso della pena di morte da parte delle autorità iraniane ha lo scopo principale di diffondere la paura tra la gente al fine di mantenere il potere. Ma le proteste degli ultimi anni hanno dimostrato che non solo le persone stanno perdendo il loro senso di paura, ma si stanno anche unendo nella loro rabbia contro le esecuzioni". Rapporto 2020 in sintesi Almeno 267 persone sono state giustiziate nel 2020, rispetto alle 280 nel 2019 e 273 nel 2018; 91 esecuzioni (34%) sono state annunciate da fonti ufficiali. Nel 2019 e nel 2018, rispettivamente 84 esecuzioni (30%) e 93 (34%) erano state annunciate dalle autorità; Il 66% di tutte le esecuzioni incluse nel rapporto 2020, ovvero 176 esecuzioni, non sono state annunciate dalle autorità; Almeno 211 esecuzioni (79% di tutte le esecuzioni) erano per omicidio; Almeno 25 persone (circa il 10%) sono state giustiziate per accuse legate alla droga; 1 esecuzione pubblica, il numero più basso degli ultimi 15 anni; Tra i giustiziati del 2020, almeno 4 erano minorenni al momento del reato; Sono state almeno 9 le donne giustiziate; 2 esecuzioni hanno colpito persone arrestate durante sommosse popolari; 1 esecuzione basata su accuse relative alla gestione di un canale di social media che affrontava temi politici; 1 esecuzione per consumo di bevande alcoliche; Almeno 38 esecuzioni nel 2020 e più di 3.619 esecuzioni dal 2010 sono state basate su condanne a morte emesse dai tribunali rivoluzionari; Almeno 662 detenuti condannati a morte per accuse di omicidio sono stati perdonati dalle famiglie delle vittime nel 2020 (374 nel 2019), un aumento significativo rispetto agli anni precedenti. Il rapporto di IHR e ECPM è stato pubblicato nel bel mezzo della pandemia COVID-19, con l'Iran come uno dei paesi più colpiti. Ciò è in parte dovuto al fatto che nella fase iniziale le autorità ne hanno consapevolmente negato la presenza e si sono rifiutate di attuare misure per limitarne la diffusione. Il rapporto mostra che almeno 267 persone sono state giustiziate in tutto il paese nel 2020. Questo è allo stesso livello del 2018 e 2019 con rispettivamente 273 e 280 esecuzioni, a dimostrazione che la priorità della Repubblica islamica è stata quella di continuare le esecuzioni, invece di attuare misure per limitare la diffusione del COVID-19 nelle carceri. In effetti, le esecuzioni in corso potrebbero aver contribuito allo scoppio del COVID-19 in diverse carceri. La mancanza di trasparenza e la cattiva gestione della diffusione del Coronavirus hanno portato anche al panico e alle rivolte in diverse carceri iraniane. La risposta delle autorità alle rivolte carcerarie del COVID-19 è stata quella di reprimere violentemente ed emettere ulteriori condanne a morte, con una particolare ondata registrata nella regione del Kurdistan. Secondo il rapporto del 2020, si è registrato un aumento significativo del numero di esecuzioni nelle regioni etniche del Baluchistan e del Kurdistan rispetto ai due anni precedenti. Ciò è continuato nel 2021, con i prigionieri Baluchi che rappresentavano un terzo di tutte le esecuzioni a metà febbraio. La prefazione del Rapporto è stata affidata a Narges Mohammadi, importante difensore dei diritti umani, scarcerata recentemente dopo quasi 6 anni di detenzione (vedi NtC 08/10/2020). Nel testo Mohammadi ha espresso preoccupazione per la crescente repressione nelle regioni etniche dell'Iran: "... Sono particolarmente preoccupata per i recenti arresti in Sistan, Baluchistan e Kurdistan, e spero che le organizzazioni contro la pena di morte presteranno particolare attenzione ai detenuti, perché temo che nel prossimo anno dovremo affrontare un'altra ondata di esecuzioni". In occasione del lancio di questo rapporto, IHR e ECPM chiedono una moratoria sull'uso della pena di morte in Iran. Il direttore di IHR, Mahmood Amiry-Moghaddam, ha dichiarato: “L'Iran è uno dei pochi paesi che non ha ridotto l'uso della pena di morte sotto la pandemia COVID-19. Chiediamo alle autorità iraniane di fermare immediatamente le esecuzioni". Il direttore di ECPM, Raphael Chenuil-Hazan, ha aggiunto: "Siamo allarmati per il numero sproporzionato di esecuzioni di minoranze etniche come evidenziato in questo rapporto, e chiediamo alla comunità internazionale di prestare maggiore attenzione alla situazione nelle regioni etniche dell'Iran". Come nel 2019, la maggior parte dei giustiziati nel 2020 erano accusati di omicidio e condannati a qisas (punizione in natura). Almeno 211 persone sono state giustiziate per omicidio nel 2020. Secondo la legge iraniana, poiché l'attore (la famiglia della vittima) ha diritto alla “qisas”, lo Stato attribuisce loro la responsabilità di decidere se l'imputato debba essere giustiziato o meno. In un sondaggio condotto dalla fondazione di ricerca GAMAAN per IHR e ECPM sull'atteggiamento degli iraniani verso la pena di morte, solo il 21% degli iraniani ha affermato che preferirebbe qisas se un parente stretto venisse assassinato. Ciò è correlato ai dati sui casi in cui i querelanti hanno scelto il perdono e il diya (prezzo del sangue) invece di qisas. Secondo il presente rapporto, ci sono stati almeno 662 casi di perdono, superando il numero di casi di qisas di oltre il 300%. L'indagine ha anche rivelato che il 70% degli iraniani vuole l'abolizione completa (44%) o una restrizione a casi molto particolari (26%). Inoltre, l'indagine ha mostrato che oltre l'85% degli iraniani si oppone alla pratica delle esecuzioni pubbliche e della pena di morte per i minori. La crescente opposizione dell'opinione pubblica alla pena di morte in Iran è diventata ancora più evidente quando gli iraniani si sono uniti organicamente in una campagna su Twitter che ha visto l'hashtag Farsi # اعدام_نکنید ("non giustiziare") svettare a livello globale. L'hashtag farsi è stato utilizzato più di 4 milioni di volte in due giorni per protestare contro la notizia che le condanne a morte di tre giovani manifestanti erano state confermate in appello. Come conseguenza, le autorità hanno disposto la ripetizione del processo. Ma altri due giovani, Mostafa Salehi e Navid Afkari, che erano stati entrambi arrestati in relazione alle proteste del 2017-2018, sono stati giustiziati dopo essere stati accusati ingiustamente di omicidio. Entrambi erano stati anche sottoposti a tortura e maltrattamenti per ottenere false confessioni. I documenti e le registrazioni vocali del caso di Navid pubblicati da IHR hanno rivelato le gravi violazioni del giusto processo in Iran. È passato un anno da quando Ebrahim Raisi (Raeisi), il nuovo capo della magistratura, nominato dal leader supremo Ali Khamenei, si è insediato nel marzo 2020. Raisi ha avuto un ruolo importante nelle esecuzioni di massa di prigionieri politici nell'estate del 1988, ampiamente considerato come un crimine contro l'umanità. Nel suo primo anno in carica, Raisi ha tenuto fede alla sua reputazione aumentando il numero di esecuzioni per motivi politici. Oltre ai due manifestanti e a diversi appartenenti a minoranze etniche giustiziati per appartenenza a gruppi dissidenti, le autorità iraniane, dopo averlo rapito dal confinante Iraq, hanno anche impiccato Ruhollah Zam, giornalista dissidente e direttore di un canale di notizie. Questo è il primo caso di un giornalista giustiziato in Iran dagli anni '80. Sotto il regno di Ebrahim Raisi, la magistratura ha anche compiuto l'esecuzione di un uomo che, per la quarta volta, era stato condannato per consumo di alcol. Non erano state documentate esecuzioni per consumo di alcol negli ultimi tre decenni. Contrariamente ai suoi obblighi internazionali, la Repubblica islamica è stata l'unico Paese al mondo che ha giustiziato minorenni nel 2020: almeno 4. Secondo diverse fonti, ci sono più di 84 giovani a rischio di esecuzione per reati commessi quando avevano meno di 18 anni. Secondo il Rapporto 2020, una persona è stata impiccata in pubblico. Questo è il numero più basso di esecuzioni pubbliche negli ultimi due decenni. Anche se diversi osservatori ritengono che questa riduzione sia dovuta alla pandemia piuttosto che a un cambiamento nella politica, IHR e ECPM accolgono con favore il dato, e fanno eco alla voce del popolo iraniano chiedendo l'abolizione permanente delle esecuzioni pubbliche. Con la nuova amministrazione degli Stati Uniti, sono più probabili negoziati e colloqui diretti tra la Repubblica islamica e l'Occidente. I tassi di esecuzioni hanno raggiunto i massimi in più di 20 anni quando si è svolto l'ultimo ciclo di negoziati sul nucleare nel 2015. IHR e l'ECPM sottolineano l'importanza che i diritti umani e la questione della pena di morte siano condizioni preliminari in qualsiasi colloquio con l'Iran. Il direttore di IHR Mahmood Amiry-Moghaddam ha dichiarato: “La pace e la stabilità sostenibili nella regione non saranno possibili se la crisi dei diritti umani in Iran non sarà risolta. Qualsiasi accordo con la Repubblica islamica che non affronti la situazione dei diritti umani, nel migliore dei casi sarà un accordo temporaneo che è destinato a fallire". Siamo anche a pochi mesi dalle elezioni presidenziali di giugno. Negli anni precedenti, le autorità iraniane hanno intensificato l'uso della pena di morte nei mesi precedenti le elezioni, al fine di creare paura e impedire che si svolgessero proteste. IHR e l'ECPM avvertono pertanto del rischio di una potenziale ondata di esecuzioni nell'aprile e nel maggio 2021. Chiediamo alla comunità internazionale di prestare particolare attenzione alla situazione dei diritti umani e di rispondere in modo più forte alle segnalazioni di esecuzioni, e alla repressione delle proteste che, in Iran, stanno fermentando dal novembre 2019. Il rapporto completo su: https://iranhr.net/media/files/Rapport_iran_2021-gb-290321-BD.pdf
https://iranhr.net/en/articles/4677/ (Fonte: IHR)
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