SOUTH CAROLINA (USA): KENNETH SIMMONS NON POTRÀ ESSERE CONDANNATO A MORTE
25 luglio 2017: La Pubblica accusa rinuncia a contestare l’annullamento del verdetto di colpevolezza di Kenneth Simmons, e si prepara per un nuovo processo, che però non potrà portare ad una condanna a morte. Simmons, oggi 60 anni, nero, venne condannato a morte il 2 marzo 1999 nella Dorchester County con l’accusa di aver violentato ed ucciso, il 1° settembre 1996, una donna di 87 anni, Lily Bell Boyd. La condanna a morte venne commutata in ergastolo nel 2014 dopo che la Corte Suprema di Stato ne riconobbe il ritardo mentale. Il 7 giugno, con una sentenza che la stessa corte suprema di stato ha definito “azione straordinaria, riservata al più raro dei casi”, la Corte ha riconosciuta all’imputato il diritto di “tornare indietro” nella sequenza dei ricorsi. Infatti per legge, il ricorso sulle condizioni mentali può essere fatto solo dopo aver concluso i ricorsi sulle prove. Simmons ha avuto il parere positivo sia del giudice Doyet A. Early III che, come abbiamo visto della Corte Suprema di Stato, per contestare la prova del Dna usata originariamente nel processo, e la rilevanza della sua confessione. Secondo il giudice Early, durante il primo processo le informazioni fornite alla giuria popolare su come valutare i risultati dei test del Dna sono state “confuse, fuorvianti e inaccurate”, e le circostanze di come la confessione fosse stata ottenuta da un uomo con severi problemi mentali tenuto a lungo sotto pressione dalla polizia sono state ampiamente sottovalutate. Inizialmente la pubblica accusa aveva chiesto allo stesso giudice Early di rivedere la sua posizione, ma due giorni fa, il 23 luglio, Early ha confermato l’annullamento del verdetto di colpevolezza, ed oggi la pubblica accusa ha annunciato che tenterà la ripetizione del processo, seppure non potendo più chiedere la pena di morte. Il caso è stato seguito dagli avvocati di The Innocence Network che si sono coordinati con gruppi per i diritti delle persone con disabilità, interessati al tema della facilità con cui persone con disabilità mentali possono essere indotte a false confessioni. (Fonti: DPIC, 25/07/2017)
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