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USA: UN RITORNO DELLA PENA DI MORTE?

14 novembre 2016: un editoriale della CNN dal titolo “Un ritorno della pena di morte?” riassume senza drammatizzare le battute di arresto del fronte abolizionista nella tornata elettorale della scorsa settimana. Questo è il testo dell’editoriale.
Dopo anni in cui la pena di morte è stata in declino sia nel suo utilizzo all’interno degli stati sia nel gradimento tra i cittadini, le elezioni dell’8 novembre hanno ridato speranza ai favorevoli alla pena di morte.
I risultati delle consultazioni in California, Oklahoma e Nebraska, e la stessa elezione di Donald Trump, sembrano il preavviso di una nuova stagione per la pena di morte. Ma i motivi per contrastare la pena di morte rimangono validi, e le probabilità che si continui a progredire in direzione dell’abolizione rimangono alte.
Per i pro-morte il colpo più importante sembra l’elezione di Trump, che è un fautore entusiasta della massima punizione. Nel dicembre 2015, in un incontro con una associazione di beneficienza della polizia del New England, aveva detto che avrebbe emesso un ordine esecutivo (l’equivalente di un decreto legge in Italia, che però ha valore solo nel sistema federale e non nei singoli stati. In questo caso sarebbe praticamente una raccomandazione al Ministero della Giustizia di chiedere la pena di morte nei casi federali. NdT) perché la pubblica accusa federale persegua “in maniera molto forte” la pena di morte per chiunque sia condannato per l’omicidio di un poliziotto.
L’elezione di Trump probabilmente darà un colpo di freno al recente invito del giudice della Corte Suprema Stephen Breyer a prendere in considerazione non solo i singoli aspetti “tecnici” della pena di morte ma il concetto di pena di morte in sé. Come è noto, dopo la morte di Antonin Scalia (13 febbraio 2016), attualmente manca uno dei 9 membri della Corte Suprema. Il 16 marzo il Presidente Obama ha nominato il nuovo membro, Merrick Garland, già presidente della Corte d’Appello del Distretto di Columbia.
Le nomine alla Corte Suprema devono essere confermate dal Senato, che in questa legislatura è a forte maggioranza repubblicana, e lo sarà anche nella prossima legislatura, che inizierà il 3 gennaio 2017. Se entro quella data il Senato non avrà approvato la nomina di Garland, sarà Trump a scegliere un nuovo candidato, ed è molto probabile che avrebbe posizioni meno moderate del candidato che era stato scelto da Obama.
Anche le notizie provenienti dai singoli stati non sono positive. In California gli elettori hanno dato un doppio colpo all’abolizione: l’hanno respinta con il referendum 62, che ha perso 54/46%, e hanno invece approvato, seppure di stretta misura (51/49%) il referendum 66 che limita le possibilità di ricorso dei condannati con l’intento dichiarato di velocizzare le esecuzioni.
La legge prevista dal referendum 66 costituirà corti specializzate nel trattare i ricorsi dei condannati a morte, obbligherà gli avvocati d’ufficio che vogliono seguire i casi normali ad accettare anche quelli “capitali” se richiesti (e se giudicati sufficientemente qualificati dal giudice che presiede il processo), e disporrà che una parte dei ricorsi contro la sentenza di primo grado venga gestita direttamente dalla corte di primo grado, e non più da quella d’appello. Contro queste norme, che sembrano presentare diversi aspetti al limite della costituzionalità, sarà verosimilmente presentata una lunga serie di ricorsi, ma intanto questo è quanto uscito dalle urne in California. In Nebraska gli elettori con un margine 61/39% hanno reintrodotto la pena di morte un anno dopo che il parlamento aveva votato per abolirla. In Oklahoma votando il referendum 776 con un margine del 66% gli elettori hanno accettato che la pena di morte venisse inserita nella costituzione dello stato, rendendo quindi più difficile l’eventuale decisione di una corte che volesse mettere in discussione i profili di costituzionalità della legge capitale dello stato. Gli elettori dell’Oklahoma hanno inoltre accettato che venga considerato legale qualsiasi metodi di esecuzione “a meno che non sia espressamente vietato dalla Costituzione degli Stati Uniti”. Anche questo aspetto ovviamente non è definitivo, ma certo indica che in Oklahoma non è verosimile che la pena di morte possa essere abolita in tempi rapidi.
Ma nonostante queste vittorie elettorali, è molto improbabile che il trend abolizionista si interrompa. I temi cari agli abolizionisti, grazie al loro inserimento nella contesa elettorale, hanno avuto un più ampio accesso ai media, e argomenti come l’alto costo delle procedure capitali, le molte decine di processi che a distanza di tempo si sono dimostrati sbagliati, e la difficoltà a trovare un modo civile e affidabile per compiere le esecuzioni sono tutte questioni che rimangono, e che non possono essere accantonate facilmente.
La forza di queste contestazioni, concrete e non solo ideologiche, hanno indotto anche i favorevoli della pena di morte a moderare le loro posizioni. La validità delle argomentazioni abolizioniste si rileva non solo dal numero di stati che nell’ultimo decennio hanno abolito la pena di morte, ma dalla fortissima riduzione delle condanne a morte emesse negli ultimi anni in tutti gli Stati Uniti: erano state 315 nel 1996, e sono state solo 49 nel 2015. Anche le esecuzioni sono fortemente diminuite, erano state 98 nel 1999, e l’anno scorso sono state solo 28.
Questi grandi cambiamenti sono la conseguenza di una attenzione non più solo morale o filosofica al tema, ma di una attenzione che si è fatta pratica e concreta a come la pena di morte in effetti funzioni. I recenti risultati elettorali non precludono prese di posizione come quella con cui l’allora governatore dell’Illinois Pat Quinn nel 2011 ratificò l’abolizione della pena di morte e che si rifanno ai valori correnti del Nord America: “Sono giunto alla conclusione che il nostro sistema capitale ha dei difetti intrinseci che ormai sappiamo, per esperienza, non possono essere eliminati, e non c’è modo di disegnare un modo perfetto di emettere condanne a morte, un sistema che ponga al riparo da rischi di condanne sbagliate, o da comportamenti discriminatori. Sono giunto alla conclusione che la cosa giusta da fare è abolirla”. E se anche non sono riusciti a convincere gli elettori della California, del Nebraska e dell’Oklahoma, gli oppositori della pena di morte hanno compiuto progressi sostanziali nell’opinione pubblica. Un sondaggio Pew su base nazionale del 2015 ha stimato un 71% di cittadini che ritengono che ci sia “un qualche margine di rischio che un innocente venga giustiziato”, e che solo il 26% dei cittadini ritiene che il sistema giudiziario sia configurato in modo che questo non possa avvenire. Lo stesso sondaggio contò un 52% di persone che ritenevano che a parità di reato gli appartenenti a minoranze razziali hanno maggiori probabilità dei bianchi di venir condannati a morte. A causa di questi rischi di errore giudiziario e di discriminazione razziale, il sondaggio dava un 42% di persone contrarie alla pena di morte, la percentuale più alta da quando la pena di morte fu dichiarata (momentaneamente) incostituzionale nel 1972.
I risultati elettorali della scorsa settimana ci ricordano che la pena di morte continua ad avere un forte valore simbolico e populista, ma questo non lascia presagire che le sue fortune complessive possano migliorare. Gli abolizionisti rimarranno all’offensiva, e l’America ha ancora l’aria di essere sulla via per l’abolizione. (Fonti: CNN, 14/11/2016)

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