IRAN: RISCHIO IMMINENTE DI ESECUZIONE PER LA ‘SPOSA BAMBINA’ ACCUSATA DI AVER UCCISO IL MARITO
11 ottobre 2016: gruppi per i diritti umani hanno chiesto alle autorità di Teheran di sospendere l'esecuzione di Zeinab Sekaanvand, una donna curdo-iraniana di 22 anni, arrestata quando ne aveva 17 e condannata per aver ucciso il marito al termine di un processo viziato da gravi irregolarità.
L'esecuzione, tramite impiccagione, potrebbe aver luogo già dal 13 ottobre, ha reso noto Amnesty International.
"Questo caso è estremamente inquietante. Intanto, Zeinab Sekaanvand aveva meno di 18 anni al momento del reato. Inoltre, prima del processo le è stato impedito di avere un avvocato e ha anche dichiarato di essere stata torturata da agenti di sesso maschile su ogni parte del corpo" - ha dichiarato Philip Luther, del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty.
"Il continuo ricorso alla pena di morte contro rei minorenni illustra come le autorità iraniane disprezzino persino gli impegni presi ufficialmente. Chiediamo che la condanna sia annullata e che Zeinab Sekaanvand sia nuovamente processata, senza infliggerle la pena di morte e nel rispetto dei principi della giustizia minorile" - ha aggiunto Luther.
Zeinab Sekaanvand è stata arrestata nel febbraio 2012, all'età di 17 anni, per aver ucciso il marito, sposato quando aveva appena 15 anni. È stata trattenuta per 20 giorni in una stazione di polizia, dove - secondo quanto ha denunciato - è stata picchiata da agenti di sesso maschile. Ha "confessato" di aver accoltellato il marito dopo mesi e mesi di violenza psicologica e fisica e dopo che l'uomo aveva ripetutamente rifiutato di concederle il divorzio.
Il processo è stato gravemente irregolare. Nella fase che lo ha preceduto, Zeinab Sekaanvand non ha potuto avere un avvocato e ha incontrato quello d'ufficio solo nell'ultima udienza del processo, il 18 ottobre 2014. In quell'occasione, la ragazza ha ritrattato la "confessione" resa quando era priva di assistenza legale, denunciando che ad aver ucciso il marito era stato il fratello di quest'ultimo. Il vero assassino, ha raccontato Zeinab Sekaanvand, l'aveva violentata numerose volte e l'aveva convinta ad assumersi la responsabilità dell'omicidio promettendole che l'avrebbe perdonata (secondo la legge islamica, i parenti di una vittima di omicidio possono perdonare l'assassino in cambio di un risarcimento).
Le dichiarazioni rese da Zeinab Sekaanvand nell'ultima udienza del processo sono state ignorate.
Così, il 22 ottobre 2014, la seconda sezione del tribunale penale della provincia dell'Azerbaigian occidentale ha condannato a morte Zeinab Sekaanvand secondo il criterio del qesas o "pena equivalente". In seguito la sentenza è stata confermata dalla settima sezione della Corte suprema.
I due tribunali non hanno tenuto conto delle linee guida contenute nel codice penale islamico del 2013: non hanno disposto una perizia medica per valutare "lo sviluppo mentale e la maturità" dell'imputata al momento del reato e non l'hanno informata che, come previsto dall'articolo 91, avrebbe potuto chiedere un nuovo processo.
Dal codice penale iraniano sono praticamente assenti le garanzie previste dal diritto internazionale a favore degli imputati minorenni e anche la parziale garanzia che un condannato per un reato commesso da minorenne possa chiedere un nuovo processo viene spesso ignorata.
In quanto stato parte della Convenzione sui diritti dell'infanzia e del Patto internazionale sui diritti civili e politici, l'Iran è giuridicamente vincolato a considerare minorenni le persone al di sotto dei 18 anni e ad assicurare che non vengano mai condannate a morte né all'ergastolo senza possibilità di rilascio anticipato.
Il diritto internazionale, tra cui la Convenzione sui diritti dell'infanzia, vieta categoricamente l'uso della pena di morte nei confronti di persone che hanno commesso un reato quando avevano meno di 18 anni. Sulla base della legge iraniana, le persone condannate alla "pena equivalente" non hanno il diritto di chiedere la grazia o la commutazione della pena, come invece previsto dall'articolo 6.4 del Patto internazionale sui diritti civili e politici. (Fonti: Amnesty International, 11/10/2016)
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