SUDAN. AVVOCATI, CONFESSIONI ESTORTE MEDIANTE TORTURE
6 aprile 2008: gli avvocati di dieci condannati a morte del Sudan stanno tentando di dimostrare che le confessioni rese dai loro assistiti sono state ottenute mediante torture.
Originari del Darfur, i 10 uomini sono stati riconosciuti colpevoli dell’omicidio del giornalista Mohammad Taha, avvenuto nel 2006, e dopo la conferma delle condanne capitali da parte di una corte d’appello, l’unica loro speranza è costituita dalla Corte Costituzionale.
“Molto spesso non è possibile dimostrare che gli imputati hanno subito torture, da momento che le autorità carcerarie ed i tribunali tardano nel far svolgere gli esami medici”, ha detto un medico che lavora per un’organizzazione per i diritti umani.
“I segni delle torture spariscono presto, anche perché i torturatori evitano di procurare grandi cicatrici. Inoltre, affinché i risultati vengano ammessi in tribunale, le visite devono essere effettuate da personale incaricato dal giudice e appartenente a strutture sanitarie legate al governo. Esami svolti da staff di organizzazioni per i diritti umani o di ospedali indipendenti non vengono ammessi”.
I 10 condannati a morte si trovano attualmente nella prigione di Kobar, nella capitale sudanese Khartoum. (Fonti: Inter Press Service, 07/04/2008)
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