GIAPPONE. CONDANNATO A MORTE NEL PROCESSO D’APPELLO
29 marzo 2005: l’Alta Corte di Tokyo ha condannato all’impiccagione Junya Hattori, 33 anni, riconoscendolo colpevole del sequestro, stupro ed omicidio di una studentessa di 19 anni.
In occasione del processo di primo grado, conclusosi nel gennaio 2004, i pubblici ministeri avevano chiesto per Hattori la condanna a morte, tuttavia il tribunale del distretto di Shizuoka aveva emesso una condanna all’ergastolo.
Per il giudice dell’Alta Corte Kenjiro Tao “la possibilità di una sua riabilitazione sono molto improbabili”.
Secondo i pubblici ministeri, nel gennaio 2002 Hattori avrebbe cercato di corteggiare la ragazza, che invece lo avrebbe ignorato.
L’uomo l’avrebbe quindi costretta a salire nella sua auto e condotta in un’area isolata. Lì l’avrebbe prima violentata per poi legarla e darla alle fiamme.
Nel condannare Hattori all’ergastolo, il tribunale distrettuale aveva stabilito che “di tutta evidenza questo omicidio non costituisce un’azione premeditata. Si deve inoltre tener conto che l’imputato è nato e cresciuto in un ambiente degradato”.
L’Alta Corte è stata di parere opposto: “la sua tendenza a commettere crimini dipende dal suo modo di vivere piuttosto che dall’ambiente in cui è stato cresciuto”, ha detto Tao, aggiungendo che “l’imputato ha ucciso la vittima, bruciandola viva, per paura di essere denunciato alla polizia. Si è sbarazzato della ragazza anche perché voleva assumere delle droghe il prima possibile”.
“Hattori - ha concluso il giudice – ha precedenti per furto ed altri reati, ed ha commesso l’omicidio a meno di un anno dal suo rilascio con la condizionale. Non importa quanto sia dispiaciuto per il crimine che ha commesso, non ci rimane che condannarlo alla pena più severa”. (Fonti: The Asahi Shimbun, 30/03/2005)
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