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Warsame sta per essere fucilato
Warsame sta per essere fucilato
NEMICI DELLO STATO E DI ALLAH, IN SOMALIA TUTTI FUCILATI AL PALO DELLA GIUSTIZIA

25 ottobre 2025:

Sergio D’Elia su l’Unità del 25 ottobre 2025

In Somalia tutto è volto alla guerra. Quella dell’esercito contro i terroristi nemici dello Stato. Quella degli Al-Shabaab contro gli infedeli nemici di Allah.
È difficile distinguere i buoni dai cattivi nella terra del Corno d’Africa un tempo colonia italiana. Chi sono i buoni? I difensori armati della pace e della sicurezza internazionale? E chi sono i cattivi? I fanatici fautori della legge di Dio e del taglione? La legge e l’ordine che gli uni e gli altri invocano sono quelli che vigono in un deserto. Dove è stata fatta terra bruciata di una terra di per sé bruciata. La giustizia sommaria e la pena di morte uniscono buoni e cattivi, e li identificano. Tribunali militari e tribunali islamici non pongono tempo in mezzo tra il dire e il fare giustizia: il processo è sommario, la sentenza è spietata, l’esecuzione immediata.
Fino a poco tempo fa il rito funebre della giustizia “legale” si svolgeva in un poligono di tiro presso l’Accademia di polizia Generale Kahiye nel quartiere di Hamar Jajab a Mogadiscio. Lì, vicino al mare, venivano fucilati nemici dello stato, militari infedeli e delinquenti comuni sin dai tempi di Siad Barre che lo aveva scelto come luogo di esecuzione proprio perché la gente del posto potesse assistere. I pali eretti dal regime militare mezzo secolo fa per legare i condannati a morte da fucilare sono sempre lì e i ragazzi che vanno al mare per fare il bagno li usano come pali di porte di un campetto da calcio improvvisato. L’ultima spiaggia della giustizia somala l’hanno inaugurata quattro mesi fa, nel quartiere di Gubadley. È nuova, ma il palo di legno simbolo delle esecuzioni, il Tiirka Caddaaladda, è lo stesso. Lì sono stati legati e sparati nel solo mese di agosto 12 membri o collaboratori di Al-Shabaab condannati per aver compiuto attentati esplosivi e omicidi mirati in tutta la Somalia.
I nemici di Allah sono di ogni specie e in ogni luogo, e non sfuggono alla legge della sharia dei terribili Al-Shabaab. Cristiani e apostati dell’Islam, ladri, maghi e fattucchiere, adulteri, sodomiti e presunte spie al servizio del governo somalo, della forza militare dell’Unione Africana, della CIA e dell’MI6 inglese. Anche loro sono fucilati in pubblico, anche loro processati in via sommaria, anche loro legati a un palo e fucilati. Stato e antistato si specchiano nel modo uguale e contrario di fare giustizia: il palo della giustizia, la “colonna infame”, che incatena e marchia fedeli e infedeli, buoni e cattivi, colpevoli e innocenti.
La giustizia del palo non colpisce solo i nemici dello Stato o di Allah. La stessa fine rischiano di fare anche criminali comuni. Soprattutto in regioni come quella di Galmudug che ha una lunga e sanguinosa storia di conflitti tribali, spesso alimentati dalla competizione per la scarsità di pascoli e risorse idriche, vitali per le comunità pastorali nomadi della regione. Dove, il 9 ottobre scorso, hanno giustiziato un uomo che era stato riconosciuto colpevole di omicidio premeditato. Nuur Hirsi Warsame aveva compiuto il delitto a Dhagahbuur, un villaggio nel distretto di Guriceel, nella regione di Galgaduud. Aveva ucciso a colpi d’arma da fuoco Ahmed Wali Mohamed Salad nel luglio 2025. È stato messo a morte tramite fucilazione neanche tre mesi dopo.
Nuur è stato condotto sul posto di un arrangiato poligono di tiro a bordo di un pick-up nuovo di zecca delle forze di sicurezza. All’arrivo, è stato accolto da funzionari della magistratura, esponenti del clero locale e parenti di vittima e carnefice. La famiglia della vittima ha negato il perdono e rifiutato il “prezzo del sangue”, il risarcimento in denaro della perdita subita. “Questo è un chiaro monito per chiunque stia considerando reati gravi come l’omicidio volontario”, ha dichiarato un portavoce dell’Ufficio del Procuratore Generale. “Il Galmudug è determinato a proteggere lo stato di diritto e a garantire la sicurezza pubblica”.
Il condannato a morte è sceso dal furgone con le catene alle caviglie e le manette ai polsi. Non ha detto nulla, ha chiesto solo di pregare, in ginocchio, su una misera coperta a scacchi stesa per terra. Negata quella degli uomini, si è affidato alla misericordia di Allah e alla sua volontà, ha invocato il perdono e la pace per la sua anima. L’ultima immagine prima di essere fucilato lo ritrae bendato e legato a un palo piantato alla buona sulla sabbia dorata, tenuto in piedi da quattro sassi trovati lì intorno. In ogni lembo di terra somala dopo Siad Barre sembra non scorra più una goccia d’acqua, non cresca un filo d’erba. Tutto si è inaridito: il suolo, i cuori, la vita e financo la morte.

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