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LA CEDU ALL’ITALIA: È DISUMANO NON CURARE I DETENUTI

19 novembre 2023:

Roberto Ghini e Pina Di Credico su L’Unità del 19 novembre 2023

Importante decisione quella della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha accolto il ricorso presentato nell’interesse di un detenuto che da oltre 22 anni sta scontando la pena dell’ergastolo ostativo all’interno di un carcere italiano. Tutto era iniziato il 27 aprile del 2020 attraverso la richiesta di adozione di una misura provvisoria urgente ex art. 39 del Regolamento della Corte. Il detenuto da anni soffriva di patologie che lo avevano portato, già nel 2018, a chiedere il differimento della pena. La Cassazione aveva annullato la prima decisione negativa del Tribunale di Sorveglianza di Napoli ma, nonostante questo, il TDS non fissava udienza. Si decideva allora di investire la CEDU lamentando la violazione dell’art. 2 poiché il detenuto era esposto al rischio di perdere la vita e per violazione dell’art. 3, in quanto, a cagione di cure totalmente inadeguate alla sua condizione patologica, risultava costantemente esposto a un trattamento inumano e degradante.
Ad acuire la situazione precaria vi era l’esposizione al rischio di contrarre l’infezione da Covid-19. Nello specifico il detenuto era sprovvisto da mesi di uno strumento salvavita denominato CPAP necessario per agevolare la respirazione e non era stato sottoposto alle visite specialistiche richieste. La mancanza dello strumento salvavita, poi, rischiava di compromettere le precarie condizioni di salute del detenuto in quanto incideva sulle altre patologie pregresse del recluso.
Non potendo attendere le tempistiche del TDS di Napoli che tardava a fissare l’udienza di rinvio a seguito della pronuncia favorevole della Cassazione, si investiva della questione la Corte di Strasburgo con una procedura d’urgenza ai sensi dell’art. 39 affinché essa adottasse una “misura urgente e provvisoria” ovvero che al detenuto venisse concesso il differimento della pena affinché potesse ottenere le cure necessarie e assolutamente urgenti.
Si chiedeva inoltre alla CEDU, qualora fosse stato necessario, di disporre che un “Soggetto Terzo” indipendente dallo Stato Italiano e dall’Amministrazione Penitenziaria effettuasse un controllo sulle reali modalità di trattamento sanitario. La CEDU, dopo due soli giorni dalla presentazione del corposissimo ricorso, ci informava di aver richiesto chiarimenti al Governo che avrebbero dovuto essere forniti entro le ore 12 del 6 maggio. Si apriva così una lunga “battaglia” con il Governo italiano. Più volte la CEDU interveniva pretendendo dei chiarimenti dal Governo Italiano e nello specifico richiedendo di fornire le generalità dei sanitari che avevano provveduto a più riprese a visitare il detenuto esprimendo pareri di compatibilità con il regime carcerario e soprattutto di adeguatezza delle cure.
Con la sentenza Riela c. Italia resa dalla Prima Sezione all’unanimità, la CEDU ha riconosciuto la violazione dell’articolo 3 della Convenzione. La decisione risulta di particolare rilevanza e attualità – oltre che per il tema tecnico della “ricevibilità” sancendo di fatto che un detenuto NON può attendere i tempi della giustizia italiana se in precarie condizioni– per il giudizio di avvenuta violazione dell’articolo 3. Il ricorrente non aveva ricevuto cure mediche tempestive e adeguate e ciò ha determinato la sua esposizione a un trattamento inumano e degradante.
Come noto a chiunque si occupi di salute e detenzione, i tempi della medicina carceraria sono, troppo spesso, incredibilmente e inutilmente dilatati. Possiamo quindi affermare che ogniqualvolta il ritardo nelle cure mediche non sia realmente giustificato e ogni volta senza reali giustificazioni si ritardi nella cura di patologie, nella effettuazione di esami, nella fornitura di presidi sanitari, possa esservi una diretta violazione dell’art. 3. Sono, purtroppo, molteplici le situazioni simili (se non peggiori) a quella vissuta dal nostro assistito e dai suoi famigliari. Questa decisione ha il pregio di rimettere al centro della questione carcere le effettive condizioni di salute dei detenuti, ovviamente a prescindere dal titolo di detenzione, sia esso ostativo o meno. Da parte nostra ci sarà il massimo impegno perché questa decisione possa comportare per il nostro assistito – che sta affrontando con incredibile dignità questo difficile periodo – la prosecuzione del regime detentivo in ambiente domestico, risultando le sue patologie incompatibili con il regime sanitario attualmente in essere in carcere a cagione del fatto che, nonostante la pronuncia della Corte, di fatto il detenuto continua a non potere utilizzare il CPAP che, sebbene formalmente fornito risulta sostanzialmente inutilizzabile per la mancanza di “taratura”. Pertanto riteniamo che il detenuto continui a essere assoggettato a un trattamento inumano e degradante con la conseguenza che le cure approntate non sono, a oggi, solo tardive ma del tutto inadeguate. Non escludiamo, pertanto, di potere nuovamente investire la CEDU se la condizione di Riela continuerà a rimanere la stessa.

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