IL VERO POTERE DEL GARANTE È NON AVERE POTERE
19 novembre 2023: Davide Galliani su L’Unità del 19 novembre 2023
Il potere del Garante sta nel suo non avere potere. A suo modo, partecipa: relazioni annuali al Parlamento, interlocuzioni quotidiane con i ministri, è ricevuto da chi lo nomina (il Capo dello Stato) e assume un significativo ruolo dinanzi alla Corte costituzionale e alla Corte di Strasburgo. Il Garante è un ponte tra le persone e le istituzioni, un biografo-fotografo di vite. Accende i riflettori. Ma perché il suo potere è decisivo proprio perché non è potere? Potremmo spendere molto tempo alla ricerca della figura ideale di Garante: professore, avvocato, magistrato, esponente dell’associazionismo. Si scoprirebbe però che dovrebbe possedere un po’ di tutti questi mestieri, piuttosto che molto ma solo di uno. Non di meno, il punto vero è un altro: il Garante migliore è quello più autonomo e indipendente. E da chi, se non dai poteri? Il Garante è più forte quanto più è in grado di segnare il distacco dal potere. Non bastano Parlamento, Governo, Capo dello Stato e giudici, ma cosa giustifica e può fare un’altra istituzione, peraltro dotata di un potere che è tale perché non è tale? Quanti conoscono cosa accade in una sperduta stazione di polizia, in una cella di un carcere dimenticato da Dio, in un servizio psichiatrico di un ospedale di periferia, in un centro di trattenimento per migranti? Sono luoghi sovraffollati di persone le cui storie non hanno interlocutori, ma non solo perché l’indifferenza è nel DNA di una società capitalistico-finanziaria e quindi più egoistica e meno solidaristica (il laissez-faire antropologico). Il problema è la carenza di conoscenza: la nostra testa non ragiona bene perché i nostri occhi non vedono bene, al massimo intravedono. Possiamo immaginare, ma vedere è un’altra cosa. Ecco il ruolo del Garante: rendere le istituzioni partecipi di quello che combinano. Si mette nel mezzo tra le persone e le istituzioni. Porta le vite delle prime alle seconde e collabora con le seconde per migliorare le condizioni delle prime. Una sorta di coscienza collettiva, il suo motto potrebbe essere videre aude. Nessun paese della Grande Europa ha avuto la nostra fortuna di avere Mauro Palma come Garante: l’uomo giusto al posto giusto. Antonio Cassese sostenne che l’esperienza al CPT del Consiglio d’Europa gli aveva insegnato più di un’intera biblioteca, e nonostante questo a un certo punto non riuscì a proseguire nell’incarico, disse che si era “spezzato”. Cosa è successo con Mauro Palma? Non solo è l’unica persona a essere stata rieletta per tre volte come Presidente del CPT, e possiamo solo immaginare cosa ha visto, ma dopo quell’esperienza ha deciso di iniziarne un’altra, parimenti pesante, se si considerano le nostre carceri, il frequente uso della contenzione fisica nei servizi psichiatrici degli ospedali, il dramma italiano dei centri per il trattenimento dei migranti, senza considerare altri fenomeni dei quali non possiamo dirci orgogliosi. La riprova che è stato l’uomo giusto al posto giusto l’abbiamo considerando l’aumento di attribuzioni riconosciute al Garante. In questi anni di Ministri della Giustizia ne abbiamo avuti, tutto l’arco (più o meno) costituzionale: Orlando, Bonafede, Cartabia, Nordio. Lo stesso agli Interni: Alfano, Minniti, Salvini, Lamorgese, Piantedosi. Idem alla Salute: Lorenzin, Grillo, Speranza, Schillaci. Sul carcere, sull’immigrazione e sulla salute ciascuno aveva la propria idea: è stato forse il caso a far sì che Mauro Palma abbia avuto con tutti un rapporto franco e collaborativo, avanzando critiche e allo stesso tempo ricevendo molta attenzione? No, non è stato il caso, è stato perché lì avevamo Mauro Palma, che la migliore intelligenza artificiale non saprebbe ricreare. Difficile riflettere sul futuro. Intanto, il Garante si fa nelle carceri (anche dentro il 41bis), negli hotspot, negli ospedali, nelle caserme, nelle REMS. La scrivania al massimo il venerdì sera. Inoltre, un parlamentare, un ministro, un giudice hanno di default un surplus da spendere. Il Garante è diverso, il suo peso non sta nel suo potere ma nella sua autorevolezza, che significa autonomia e indipendenza, oltre a esperienza e conoscenza. Infine, in un’ottica di medio periodo, il Garante deve lasciare l’istituzione più forte, non più debole. E la sua forza sta nel saper guardare laddove nessuno vuole vedere e far vedere. L’etimologia non mente: garante deriva dal latino varens che ha una radice in var, guardare. Mauro Palma ha fondato (bene) il Garante. Con Daniela de Robert ed Emilia Rossi ne hanno sviluppato le competenze, incrementandone ruolo e forza. Lasciano un’istituzione autorevole, tanto che non sarà semplice il compito di chi seguirà. Potremmo dirci soddisfatti solo se in futuro i poteri continueranno a lamentarsi del Garante. Se nessuno lo farà, avremo perso la partita. Sono sicuro che Mauro Palma avrebbe voluto fare di più, non è mai pago. Vorrei però concludere dicendo che tutti gli dobbiamo stringere la mano e dirgli grazie.
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