L’AVVOCATO? CHI E’ COSTUI? AL PAGLIARELLI IL DIRITTO DI DIFESA NON E’ DI CASA
9 luglio 2023: Vito Cimiotta* su L’Unità del 9 luglio 2023
Da qualche settimana ormai, i detenuti del Carcere Pagliarelli di Palermo devono fare i conti con una ulteriore e recentissima violazione di un principio costituzionalmente garantito: il diritto di difesa. Quelle rare volte in cui viene consentito il colloquio telefonico con i propri difensori, spesso dopo due o tre richieste, il detenuto è obbligato a indicare per iscritto e con dovizia di particolari la motivazione e la necessità della telefonata all’avvocato. Non bastano nemmeno più i “motivi di giustizia” o altre simili locuzioni. NO! La motivazione deve essere specifica, deve essere convincente e solo così si potrà evitare che l’assistente di turno, che peraltro rimane sempre presente, ti vieti di telefonare. Si instaura così una sorta di filtro di ammissibilità all’esercizio di un supremo diritto costituzionale che degrada a concessione discrezionale di un organo amministrativo inferiore. Immaginate solo per un attimo il senso di frustrazione che può provare il detenuto, il quale dovrà trovare anche, al momento del colloquio telefonico, la lucidità per indicare in maniera precisa, i motivi giuridici per i quali vuole colloquiare con il proprio legale. Molti rinunciano, altri ci provano, ad altri ancora viene revocato il beneficio (che poi è un diritto sacrosanto). Ed anche questa volta, anche per questa ennesima violazione, dopo la progressiva diminuzione della possibilità di chiamare telefonicamente i propri familiari, sono gli stessi detenuti a tentare di far sentire la propria voce fuori dal carcere. Lo ha fatto Ludovico Collo, che ancora una volta porta fuori dal carcere le istanze di tanti detenuti come lui, attraverso un comunicato indirizzato al Presidente della Repubblica, al Garante per i detenuti della Regione Sicilia e al Tribunale di Sorveglianza di Palermo. Perché un detenuto dovrebbe indicare specificatamente i motivi del proprio colloquio con il difensore? Perché anche questo diritto merita di essere calpestato? Già lo stesso Ludovico Collo qualche mese addietro aveva interpellato tramite il sottoscritto, il Garante per i detenuti Siciliani, Prof. Fiandaca di altra questione relativa ai colloqui telefonici. Finito il periodo emergenziale Covid, la direzione del Carcere Pagliarelli aveva riportato tutto alla “normalità”, consentendo una telefonata a settimana ai detenuti, quando invece nel periodo così detto d’emergenza, i detenuti avevano la possibilità di telefonare quotidianamente a familiari e difensori. Con una petizione, Ludovico Collo è riuscito a raccogliere ben 793 firme dei detenuti del Carcere Pagliarelli, inviando il documento scritto di pugno e firmato sia al Dap che al Prof. Fiandaca, il quale si era in un primo momento interessato. Oggi, questa nuova grave violazione si è abbattuta sui detenuti del Pagliarelli, i quali manifestano sentimenti di frustrazione e delusione, oltre che essere pronti a farsi sentire fuori dal carcere attraverso le proprie manifestazioni. Non è più il caso di minimizzare il problema delle telefonate in carcere, perché per chi sta rinchiuso lì dentro, una semplice telefonata potrebbe essere speranza, potrebbe essere consolazione, potrebbe essere vita. Non sono rari i casi di detenuti, spesso stranieri, che non fanno colloqui né in presenza né telefonici coi propri famigliari, perché semplicemente non li hanno o perché sono stati abbandonati da tutti. Allora, l’avvocato può essere oltre che arma di legittima difesa tecnica, anche l’unico significativo contatto umano che li farebbe uscire dall’isolamento carcerario. Restringere in tale maniera la possibilità di confronto con i propri difensori appare veramente aberrante ed appare ultroneo rappresentare per iscritto i motivi della conversazione o della telefonata. Il detenuto con il proprio difensore non può parlare d’altro se non dei propri problemi giudiziari, delle udienze che si sono avvicendate, della propria posizione giuridica. Oggi al Carcere Pagliarelli la difesa viene violata, la privacy anche, e se è avvenuto a Palermo, con ogni probabilità questo avverrà anche in altre carceri italiane. Il perché di tutto questo non se lo spiegano i detenuti ma non ce lo spieghiamo nemmeno noi avvocati che però conosciamo perfettamente la triste e disumana condizione in cui ogni giorno vivono i nostri assistiti. * Direttivo Camera Penale di Marsala
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