USA - Ancora un rinvio al processo per l’11 Settembre a Guantanamo
23 ottobre 2022: Ancora un rinvio al processo per l’11 Settembre a Guantanamo Processo a Guantanamo per gli attentati dell’11 Settembre: si attende la risposta dell'amministrazione Biden sul patteggiamento che eviterebbe le condanne a morte per i 5 imputati. Il giudice militare colonnello Matthew N. McCall ha annullato le previste udienze preliminari. Il giudice ha rinviato le prossime udienze almeno fino al 16 gennaio, mentre i "politici" decidono se accettare le condizioni degli imputati in merito alla loro reclusione post-condanna. Il suo ordine, datato 13 ottobre, citava i pubblici ministeri che affermavano che non si aspettavano una risposta forse fino al prossimo anno. Il colonnello McCall ha ordinato ai pubblici ministeri di aggiornarlo sulla questione ogni 2 settimane a partire dal 16 dicembre. Il giudice non ha descritto le questioni in discussione. Ma le persone a conoscenza dei negoziati hanno affermato che la difesa propone che Khalid Shaikh Mohammed, accusato di aver ideato gli attacchi, e i suoi 4 complici non siano tenuti in isolamento. I 5 imputati, che subito dopo l’arresto vennero tenuti dalla Cia in carceri segrete, alcuni per 3 anni, altri per 4, hanno anche chiesto che il governo crei per loro un programma riabilitativo per vittime di tortura. Le udienze erano già sospese da marzo, quando i pubblici ministeri hanno invitato gli avvocati difensori a negoziare un patteggiamento per gli imputati, accusati di aver pianificato e organizzato i dirottamenti del 2001 che hanno ucciso quasi 3.000 persone a New York, in Pennsylvania e al Pentagono. Il processo, che è sotto la supervisione della Corte Federale per il Distretto di Washington DC, procede molto lentamente e nonostante gli imputati sino in stato di detenzione da 20 anni, e siano stati rinviati a giudizio 10 anni fa, il processo non ha ancora superato le fasi preliminari. Come è noto, il problema principale è che contro gli imputati non esistono prove “convenzionali”, ma sostanzialmente informazioni ottenute da informatori o agenzie di intelligence straniere, su cui la Cia non vuole riferire, e che le uniche “prove” utilizzabili sembrerebbero essere le confessioni estorte sotto tortura, ma anche in questo caso la Cia non vuole rivelare chi ha effettuato gli interrogatori, né altri dettagli. Inizialmente si era pensato (amministrazione Bush) che l’utilizzo di un tribunale militare, per di più ospitato in una base extraterritoriale (Guantanamo Bay è a Cuba), avrebbe garantito un certo livello di “riservatezza” del processo, ma grazie a team di avvocati difensori molto combattivi il processo è rimasto fino a qui praticamente in stallo, portando alle dimissioni di diversi dei giudici che di volta in volta sono stati nominati per presiederlo. L’accordo di cui si parla, ma che nessuno vuole rendere noto nei dettagli, sembra offrire una dichiarazione di colpevolezza degli imputati in cambio della loro non condanna a morte, e di un regime detentivo non eccessivamente punitivo. I pubblici ministeri, gli avvocati difensori e i portavoce della Casa Bianca non rilasciano dichiarazioni alla stampa su quali membri del team di sicurezza nazionale dell'amministrazione Biden stiano esaminando i problemi. I pubblici ministeri in un atto giudiziario hanno fatto riferimento a Caroline Krass, il consigliere generale del Pentagono, che in precedenza era stata a capo dell’ufficio legale della Cia, come il funzionario dell’Amministrazione Biden a cui, a marzo, hanno sottoposto un documento in cui riassumevano le questioni in discussione. Un precedente tentativo di un alto funzionario del Pentagono di raggiungere un patteggiamento con gli imputati bypassando i pubblici ministeri è stato respinto durante l'amministrazione Trump. Ma questa volta, secondo persone a conoscenza delle trattative che si sono espresse a condizione di anonimato perché non autorizzate a discutere le delicate trattative, i pubblici ministeri hanno impostato i colloqui in modo da avere un ruolo più centrale in qualsiasi patteggiamento. I pubblici ministeri nel caso “11 settembre” erano allarmati dalle dinamiche del processo dello scorso anno contro un altro ex prigioniero CIA, Majid Khan. Khan, di origini saudite ma residente da tempo negli Stati Uniti, si era dichiarato colpevole di concorso nell'attentato al Marriott Hotel del 2003 a Giacarta (11 vittime civili) e nel tentato assassinio del presidente pakistano Pervez Musharraf del 2003. Dopo aver dichiarato il proprio rimorso, e descritto le torture subite dalla CIA, una giuria militare lo ha condannato a 26 anni, ma contestualmente ha anche scritto una lettera in cui sollecitava clemenza. L'ufficio del procuratore capo per i crimini di guerra, l'ammiraglio Aaron C. Rugh, ha recentemente scritto ai parenti delle vittime degli attacchi dell'11 settembre chiedendo se fossero disposti a testimoniare durante il processo. Questo gesto è stato interpretato come un segno che, dietro le quinte, i pubblici ministeri si stanno preparando per la possibilità di dichiarazioni di colpevolezza che scongiurerebbero un lungo processo. "L'accusa attualmente intende chiedere al giudice militare di consentire la testimonianza di almeno un membro della famiglia di ciascuna delle 2.976 persone uccise l'11 settembre 2001, nonché, se lo desidera, di qualsiasi persona abbia riportato delle ferite", si legge nella lettera. I parenti di alcune vittime hanno espresso sgomento per il fatto che il caso possa concludersi con un accordo che escluda la condanna a morte. Altri hanno invece accolto favorevolmente la possibilità di accordo che senza ulteriori rinvii riconosca la responsabilità degli imputati.
(Fonte: New York Times, 23/10/2022)
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