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CESARE BATTISTI DIVENTA DETENUTO COMUNE, ECCO PERCHÉ NON È UNO SCANDALO

8 ottobre 2022:

Maria Brucale* su Il Riformista del 7 ottobre 2022

È giusto che una persona che ha commesso un crimine terribile ormai quarant’anni fa venga punita oggi? È costituzionalmente orientata una sanzione che interviene quando Il tempo ha reso l’artefice del delitto una persona nuova, risanata, inserita nel contesto sociale?
La punizione, la necessità di infliggere una sofferenza che sia monito ed emenda, l’esigenza di restituire il male arrecato, spinte umanamente comprensibili, rispondono esclusivamente a una pulsione remunerativa, restitutiva, in ultima analisi, di vendetta sociale. Ma ha senso una pena che non tende a rieducare, a reinserire ma che interrompe un percorso, una vita di relazione ordinata e produttiva? È legittimo commisurare la privazione della libertà al nostro bisogno che chi ha arrecato ferite alla società sia privato della libertà, conosca il dolore e la sofferenza? Il concetto di Giustizia riflette quello della mitezza, della grazia, dell’umanità, dell’utilità sociale. È l’imperativo costituzionale di ogni pena che ne disegna la finalità ultima del restituire e apre le porte all’oblio.
Battisti è in carcere dal 2019 per reati commessi quarant’anni prima, terribili, certo. Ma come si fa a legittimare la compressione della libertà individuale che interviene su una persona ormai anziana che ha vissuto un tempo così lungo senza mai più incorrere nel delitto?
I primi anni della sua carcerazione sono trascorsi in un indebito isolamento in sezioni di alta sicurezza. È giunta in questi giorni finalmente la notizia della declassificazione in un regime detentivo ordinario. Un provvedimento che interrompe una situazione di illegalità.
I reati ascritti a Battisti, in astratto inalveabili nell’art. 4 bis o.p., non possono determinare le compressioni di diritti stabilite da tale norma che è stata introdotta soltanto nel 1991, oltre dieci anni dopo la commissione dei reati per cui è stato condannato. La legge non dispone che per l’avvenire, non ha effetto retroattivo; nessuno può essere punito se non in virtù di una legge entrata in vigore prima della commissione del reato. Sono principi costituzionali posti a cardine del diritto penale liberale che salvaguardano chi commetta un crimine da una punizione imprevedibile e, perciò stesso, ingiusta.
L’art. 4 bis è una previsione che determina gravi compressioni dei diritti soggettivi della persona e un regime carcerario oltremodo privativo disegnando preclusioni difficilmente superabili all’accesso alle misure alternative al carcere. Deve essere, pertanto, iscritta nel diritto penale sostanziale poiché incide non solo sulla qualità dell’esecuzione della pena ma sulla sua stessa natura. Per quasi trent’anni questo concetto, nella sua vistosa semplicità, non è riuscito ad imporsi. Le indebite restrizioni attingevano, infatti, autori di delitti (associazioni mafiose, terroristiche, finalizzate al commercio di sostanza stupefacente) che per la loro intrinseca gravità lasciavano vincere, con buona pace di tutti o quasi, le spinte della punizione ad ogni costo, anche quando ingiusta, anche quando illegale. Il dissennato ampliamento dell’art. 4 bis a reati, quali quelli contro la pubblica amministrazione, che nulla avevano a che vedere con le esigenze emergenziali che avevano indotto il legislatore dei primi anni ‘90 a prevedere fattispecie derogatorie, ha prodotto, quale effetto certamente non voluto, una serie di pronunce di illegittimità costituzionale, a partire dalla n. 32 del 2020.
La Consulta ha chiarito che il principio sancito dall’articolo 25 della Costituzione, secondo cui nessuno può essere punito con una pena non prevista al momento del fatto o con una pena più grave di quella allora prevista, individua “uno dei limiti al legittimo esercizio del potere politico, che stanno al cuore stesso del concetto di Stato di diritto”. La normativa sopravvenuta non può, dunque, trovare applicazione "allorché non comporti mere modifiche delle modalità esecutive della pena prevista dalla legge al momento del reato, bensì una trasformazione della natura della pena e della sua concreta incidenza sulla libertà personale del condannato”.
Il potere dell’amministrazione penitenziaria di stabilire speciali restrizioni può essere esercitato solo in presenza di motivate, specifiche e attuali ragioni di pericolo per la sicurezza sociale che oggi, a quarant’anni dai fatti criminosi in esecuzione, risulta del tutto inesistente. Illegittimo, dunque, infliggere a Battisti una carcerazione oltremodo restrittiva che scaturisce dal tipo di reato o dal tipo di autore secondo una disciplina normativa nata dopo le condotte criminose in espiazione. La sua collocazione in un circuito detentivo ordinario è solo un piccolissimo passo verso la legalità nelle carceri, principio guida di tutta la vita pubblica di Marco Pannella e che anima le azioni politiche di lotta nonviolenta di Rita Bernardini. Dovremmo gioirne.
* Avvocato, Consiglio direttivo di Nessuno tocchi Caino

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