IRAN - Svezia. Ahmadreza Djalali a rischio imminente di esecuzione
4 maggio 2022: Ahmadreza Djalali a rischio imminente di esecuzione. La comunità internazionale dovrebbe reagire per tempo. Secondo l’agenzia di stampa filogovernativa ISNA (Iranian Students News Agency), Ahmadreza Djalali sarà giustiziato entro il 21 maggio, più precisamente “entro la fine del mese iraniano di Ordibehesht (21 maggio)”. ISNA ha ricordato il contenzioso che attualmente contrappone la Svezia all’Iran, cioè il caso di Hamid Noury, un ex funzionario carcerario iraniano, sotto processo in Svezia per crimini di guerra. Prima di ISNA il 2 maggio, Kazem Gharibabadi, segretario dell'Alto Consiglio iraniano per i diritti umani e vice capo degli Affari internazionali della magistratura iraniana, aveva minacciato che sarebbero state eseguite le condanne di “individui legati alla Svezia”. È del tutto evidente, purtroppo, che la minaccia di giustiziare a breve il dr. Djalali è un tentativo delle autorità iraniane di influenzare l’esito del processo a Stoccolma. Iran Human Rights, una importante ong con base a Oslo, in Norvegia, diretta da un esule iraniano, sollecita la comunità internazionale a prendere posizione. IHR non può non notare l’evidente collegamento con il processo che si sta tenendo a Stoccolma, in cui nei giorni scorsi la pubblica accusa ha chiesto una condanna all’ergastolo per Hamid Noury, un ex funzionario carcerario iraniano accusato di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. “L'esecuzione programmata, in reazione al processo di Hamid Noury per crimini di guerra in Svezia, dimostra ancora una volta che la Repubblica islamica dell'Iran usa la pena di morte come strumento di pressione e ritorsione sui paesi occidentali.” La minaccia dell'esecuzione di Ahmadreza come rappresaglia per il processo di un funzionario della Repubblica islamica in Svezia mostra che il governo iraniano sta usando la pena di morte come strumento politico per raggiungere i suoi obiettivi. Iran Human Rights avverte del rischio imminente per la vita di Ahmadreza Djalali se la comunità internazionale non dovesse reagire in tempo. Secondo il Rapporto annuale 2021 sulla pena di morte in Iran, almeno 13 persone sono state giustiziate per reati attenenti alla “sicurezza dello stato”, come efsad-fil-arz (corruzione sulla terra), moharebeh (inimicizia contro Dio) e baghy (ribellione armata). Djalali, che oggi ha 50 anni, nato a Sarab, nella regione iraniana dell’Azerbaijan Orientale, lavorava e viveva all’estero da tempo. Medico e ricercatore, esperto nelle procedure mediche di emergenza da adottare in casi di attacchi nucleari, chimici o biologici, ha lavorato all'Università del Piemonte Orientale di Novara, al Karolinska Institutet di Stoccolma, e alla Vrije Universiteit Brussel a Bruxelles, ed ha collaborato con università iraniane, israeliane, saudite, e statunitensi. Djalali, che all’epoca era residente in Svezia, era stato attirato in Iran con l’invito a partecipare a un ciclo di seminari nelle università di Teheran e di Shiraz. È stato arrestato dagli agenti del Ministero dell'Intelligence il 24 aprile 2016, e per i tre mesi successivi è stato tenuto nel più completo isolamento in una struttura dei servizi segreti. Inizialmente accusato di "collaborazione con stati ostili", il 21 ottobre 2017 è stato condannato per "moharebeh (inimicizia contro Dio) per spionaggio a favore di Israele" dalla Corte Rivoluzionaria di Teheran. Poco dopo, il 5 dicembre 2017, la Corte suprema ha confermato la condanna a morte. Quasi a spiegare la condanna, nel dicembre 2017 la tv iraniana aveva trasmesso un video in cui l’uomo confessava di aver fornito informazioni a Israele, informazioni che, secondo l’accusa, hanno portato anche all’uccisione, tra il 2007 e il 2012, di alcuni scienziati che lavoravano al programma nucleare iraniano. Le confessioni “forzate” e poi trasmesse in televisione sono un espediente piuttosto frequente nei processi capitali iraniani, e gli osservatori ritengono che vengano usate soprattutto quando c’è assoluta carenza di prove “convenzionali”. In una registrazione vocale pubblicata nell’ottobre 2018 su YouTube, Djalali afferma che le video-confessioni gli erano state estorte minacciando di morte lui, sua moglie, la sua anziana madre che vive in Iran, e anche i suoi figli che vivono in Svezia. Djalali nega le accuse, e anzi ritiene di essere stato arrestato “per rappresaglia” per non aver accettato la richiesta dei servizi segreti iraniani di fornire informazioni sulle infrastrutture antiterrorismo con cui collaborava in Europa. Nel febbraio 2018 la Svezia gli ha concesso la cittadinanza, nella convinzione che questo potesse agevolare le trattative a favore di Djalali. Sembra che in realtà la mosse abbia molto innervosito le autorità iraniane, le quali per altro non accettano mai il concetto di “doppia nazionalità”, nemmeno in casi meno drammatici. In seguito (settembre 2019) anche il comune di Novara gli ha conferito la cittadinanza onoraria su richiesta dell’ordine dei medici. Il 4 maggio il Ministro degli Esteri svedese, Ann Linde, in un tweet, ha espresso “estrema preoccupazione” su questo caso. Occorre notare che quando ISNA ha pubblica la notizia dell’imminente esecuzione di Djalali, ha sostenuto che a fare un uso strumentale delle condanne sarebbe la Svezia, che userebbe il processo contro Nouri per esercitare pressioni sull'Iran per il rilascio di Djalali. Sul caso Djalali vedi anche NtC 03/08/2019; 03/08/2019; 21/08/2019; 18/12/2019; 25/11/2020; 01/12/2020; 02/12/2020; 16/12/2020; 18/12/2020; 18/03/2021; 30/03/2021; 15/04/2021; 09/04/2022; 02/05/2022.
https://iranhr.net/en/articles/5178/ https://www.iranintl.com/en/202205040024 (Fonti: IHR, iranintl.com)
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