PAKISTAN: LIBERATI DOPO LA COMMUTAZIONE DELLE LORO CONDANNE CAPITALI
30 luglio 2020: La Corte Suprema pakistana ha annullato le condanne a morte di due fratelli - Sikandar Hayat e Jamshed Ali - che hanno trascorso 27 anni in prigione, sulla base del "diritto alla speranza di vita". Con una maggioranza di 2-1, il collegio di tre giudici ha accolto la richiesta di revisione presentata dai prigionieri del braccio della morte, 16 anni dopo il rigetto del loro appello in un caso di omicidio. Il collegio, presieduto dal giudice Maqbool Baqar e composto dal giudice Yahya Afridi e dal giudice Qazi Muhammad Amin Ahmed, ha convertito le loro condanne a morte in ergastolo. Poiché i fratelli sono in prigione dal 1993, saranno immediatamente rilasciati. Di solito in Pakistan i prigionieri condannati all'ergastolo vengono liberati dopo 15 anni di reclusione. In questo caso, la Corte ha valutato diverse questioni chiave. In primo luogo, ha stabilito se una petizione di revisione presentata con un ritardo di 5844 giorni (16 anni) sia sostenibile o meno e se il ritardo nella presentazione della stessa possa e debba essere giustificato. In secondo luogo, ha stabilito se l'insufficienza e le debolezze delle prove dell'accusa durante il processo, come sostenuto dai richiedenti, potessero essere prese in considerazione nella richiesta di riesame immediato. In terzo luogo, ha riesaminato se le evidenze prodotte dai richiedenti per dimostrare la loro data di nascita fossero sufficienti e, in tal caso, fossero le stesse correttamente presentate ai tribunali di grado inferiore. Infine, ha esaminato se esistesse qualche principio legale che potesse andare a beneficio dei due fratelli, in questa fase tardiva, nella richiesta di una pena meno dura di quella capitale emessa dal tribunale competente e confermata dalla Corte Suprema nel 2002. Nel verdetto di maggioranza, il giudice Afridi ha dichiarato che i richiedenti hanno il diritto alla speranza di vita in quanto incarcerati da più di 25 anni, mentre la loro battaglia legale davanti alle istituzioni giudiziarie competenti è continuata. Ha osservato che per la stessa serie di evidenze, due co-imputati sono stati assolti senza distinzione dei ruoli in confronto a quello dei richiedenti e anche in questo caso, senza il sostegno di evidenze indipendenti. "Infine, il crimine è stato un atto improvviso e non premeditato, e quindi merita la revisione della sentenza di morte che era stata confermata da questa Corte”, è scritto nel verdetto. Ha sottolineato che il diritto alla speranza di vita è un diritto di un condannato a morte, che mentre persegue consapevolmente le sue riparazioni giudiziarie previste dalla legge resta incarcerato per un periodo pari o superiore a quello prescritto per l'ergastolo. Ha affermato che le corti hanno considerato questo ritardo nella determinazione giudiziaria finale della sorte di un detenuto come una delle circostanze attenuanti per la commutazione della condanna a morte in ergastolo. "Questa positiva applicazione del potere discrezionale da parte del tribunale competente viene considerato come diritto alla speranza di vita", ha affermato. Il giudice Afridi ha osservato che nel caso di specie, i richiedenti chiedono anche una revisione del quantum della condanna a morte confermata da questa Corte nella sentenza di revisione. La Corte ha osservato che il diritto alla speranza di vita era realmente maturato nei confronti dei richiedenti che erano stati incarcerati nella cella della morte per un periodo superiore a venticinque anni, mentre cercavano giustizia presso i tribunali giudiziari competenti del nostro Paese. "Tutti questi fattori, che sono evidenti a prima vista, se presi in modo cumulativo non possono essere ignorati, tanto più nel momento in cui i richiedenti stanno affrontando la pena capitale. Queste circostanze attenuanti valgono un caso di revisione della sentenza emessa da questa Corte il 13 giugno 2002 ", ha detto. Per quanto riguarda la minore età dei richiedenti, la Corte ha osservato che gli sia stata garantita un'opportunità più che adeguata di far riconoscere il fatto che avessero meno di diciotto anni alla data in cui il crimine è stato commesso nel 1993. La Corte ha notato che le prove che hanno prodotto non convinsero né il tribunale né la corte d'appello, e anche questo per buone ragioni. "Tutte le questioni fattuali e legali sono state correttamente considerate dai due tribunali sottostanti, con nessuna interferenza da parte di questa Corte. Tuttavia, questo non avrebbe mai sminuito i procedimenti avviati dai richiedenti per rivendicare la loro minore età sulla base dei loro diritti legali." Nel caso in cui l’affermazione dei richiedenti sulla minore età fosse stata falsa, non avrebbe portato a tre round processuali, sulla base di due ordini di rinvio da parte dell'alta corte. "In effetti, il test di ossificazione, cruciale per determinare l'età dei richiedenti, non poteva essere eseguito se non per la loro età avanzata." In ogni modo, in occasione di una visita medica generale dei richiedenti, l'opinione del dott. Khalid Javed li ha collocati nella loro prima giovinezza, se non addirittura minorenni all’epoca del reato. Senza condurre il test di ossificazione, la possibilità di determinare l'età effettiva dei richiedenti al momento del crimine rimarrebbe indeterminata. "In tali circostanze, nonostante il respingimento dell’affermazione dei richiedenti circa la minore età, la stessa non poteva essere dichiarata come totalmente fraudolenta e volta a ritardare e abusare del giusto processo di legge. “Pertanto, il nostro sistema di giustizia penale non può essere totalmente assolto per il ritardo di diciassette anni nel decidere sulla richiesta. Sicuramente, nessuna parte dovrebbe soffrire per il comportamento della Corte", ha affermato. Riguardo al ritardo di 16 anni nella revisione, la Corte ha stabilito che esiste un consenso giudiziario che giustifica il ritardo nel prendere in esame petizioni da parte di detenuti condannati, in particolare, quando si trovino ad affrontare la pena capitale o una lunga pena detentiva o si trovino in prigione senza accesso all'assistenza legale o alla rivalutazione delle prove. "Nelle circostanze del presente caso, ai richiedenti che hanno presentato la petizione chiedendo dopo 16 anni la revisione della sentenza emessa da questa Corte nel 2002, non può essere negata un'udienza senza considerare il merito del caso, e ancora di più dal momento che i richiedenti sono stati condannati alla pena capitale. "In queste circostanze, il ritardo nella presentazione “suo motu” della presente petizione di revisione è ammesso”. Il giudice Qazi Amin nella sua nota in dissenso ha osservato che la pena di morte è decadenza della durata naturale della vita di un criminale; la pena è d’obbligo dopo il respingimento dell’appello dei richiedenti da parte di questa Corte e della richiesta di grazia da parte del presidente del Pakistan il 15 dicembre 2006. "Una ricerca superficiale, spinta e indiretta per sconfiggere i fini della giustizia non può essere equiparata al ricorso in buona fede alla legge né il tempo così validamente manipolato usato per rivendicare una concessione", ha osservato. (Fonti: Tribune, 29/07/2020)
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