USA: LA PENA DI MORTE COLPISCE NEGATIVAMENTE SIA I PARENTI DELLE VITTIME CHE DEI CONDANNATI
27 ottobre 2016: due nuovi studi rilevano che la pena di morte colpisce negativamente sia i parenti delle vittime che i parenti dei condannati.
Robert T. Muller, professore di psicologia all’Università di York (Toronto) nel suo blog “Psychology Today” ha postato un articolo dal titolo "La pena di morte può non portare pace nelle famiglie delle vittime”. A supporto della sua tesi ha citato diversi studi, tra cui uno dell’Università del Minnesota. Questo studio definisce co-vittime gli amici e i parenti delle vittime vere e proprie.
Il 2,5% delle co-vittime ha detto di essersi sentito “finalmente in pace” dopo una esecuzione, mentre il 20,1% ha detto che l’esecuzione non è stata di aiuto nel processo di “guarigione”.
Una spiegazione potrebbe essere, come ha detto una delle co-vittime, che la “guarigione” è un processo e non un singolo evento”.
Uno studio del 2012 della Marquette University di Milwaukee rilevava che le co-vittime avevano tratto maggiori vantaggi fisici e psicologici, e maggiore fiducia nel sistema giudiziario, da casi in cui era stata chiesta la condanna all’ergastolo senza condizionale che da casi conclusi con la pena di morte.
Secondo gli autori di quello studio questo in parte era dovuto al fatto che le co-vittime preferivano un processo che si concludesse rapidamente e consegnasse l’imputato per sempre all’oblio, piuttosto che la continua incertezza derivante da processi più lunghi, sempre a rischio di annullamento, e di ulteriori ribalte mediatiche.
Lula Redmond, una terapista che ha lavorato molto con le co-vittime sostiene che “più no che sì, le co-vittime non ricavano dell’esecuzione del condannato quel sollievo che si aspettavano. Togliere una vita non riempie un vuoto, ma in genere è solo dopo una esecuzione che se ne rendono conto”. Alcune co-vittime esprimono vicinanza umana per i parenti del condannato, ma le condanne a morte possono anche portare alla polarizzazione dei due gruppi familiari, ostruendo per entrambe i gruppi il processo di “guarigione”.
Il Professore Michael Radelet dell’Università del Michigan ha pubblicato un articolo universitario dal titolo “L’impatto retributivo incrementale di una condanna a morte piuttosto che una all’ergastolo senza condizionale”. Nell’articolo sostiene che gli effetti punitivi (“retributivi”) si estendono sugli amici, i parenti, i difensori dei condannati a morte con un carico emotivo negativo molto maggiore di quanto non faccia una condanna all’ergastolo senza condizionale. Secondo Radelet “Il plus di punizione che la pena di morte aggiunge all’ergastolo senza condizionale ricade spesso sui familiari tanto quanto sul detenuto. Questo impatto aggiuntivo punisce in maniera sproporzionata donne e bambini. Questi effetti aggiuntivi che si riverberano in maniera così forte su persone diverse dall’imputato minano il principio di base del sistema giuridico, che prevede venga punito solo il colpevole, e mai l’innocente. La pena di morte ha effetti su chiunque conosca, abbia a cuore o lavori con il condannato a morte”. (Fonti: DPIC: 27/10/2016)
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