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TRUMP RIAPRE ALCATRAZ, UN OLTRAGGIO ALLA MEMORIA DI PAPA BERGOGLIO E NELSON MANDELA

8 maggio 2025:

Sergio D’Elia su l’Unità dell’8 maggio 2025

“La Roccia” emerge all’improvviso dall’acqua al centro della Baia di San Francisco e diventa pietra, fortezza, carcere di massima sicurezza. Come “Pena”, il mostro marino che, secondo il mito greco, strappava i figli alle madri e li uccideva, Alcatraz incute timore solo a sentirne parlare e a vederla anche da lontano.
Per trent’anni è stato il luogo-simbolo della certezza e della terribilità della pena in America, una minaccia permanente per centinaia di migliaia di detenuti nelle prigioni del Paese, una prospettiva concreta per poche decine di prigionieri riottosi.
La originaria fortezza militare diventa carcere duro agli inizi degli anni trenta del secolo scorso, durante la grande depressione, per proteggere la nazione dal pericolo pubblico costituito dal “peggio del peggio” della criminalità americana.
Il primo gruppo di 137 prigionieri senza speranza di riabilitazione arrivò l’11 agosto del 1934 proveniente dal penitenziario di Leavenworth in Kansas. Giunse a Santa Venetia in California in treno e scortato ad Alcatraz da 60 agenti speciali dell’FBI e da ufficiali della polizia ferroviaria.
Il “peggio del peggio” di loro, dicono le cronache, erano “noti ladri di banche, contraffattori, assassini o sodomiti”. I prigionieri continuarono ad arrivare alla spicciolata, qualche decina alla volta, durante tutto il 1935 e il 30 giugno, a un solo anno di vita, il penitenziario contava già 242 detenuti. Divenuta una delle prigioni più tristemente famose degli Stati Uniti, negli anni ospitò 1.576 detenuti. Ma i davvero “peggiori dei peggiori” criminali americani detenuti ad Alcatraz si contarono sulle dita di una mano. Tra di essi, uno dei primi ad arrivare e uno dei primi ad andarsene, fu Al Capone. Il capo mafia di origini italiane e pericolo pubblico numero uno dell’epoca del proibizionismo, rimase ad Alcatraz quattro anni e mezzo. Fece qualche lavoretto sull’isola, tra cui spazzare la cella e lavorare nella lavanderia, poi fu liberato.
Ma non tutti erano Al Capone, che alla fine dalla Roccia è uscito sano e salvo. Trentadue detenuti, che erano entrati sani, dopo pochi anni erano usciti da Alcatraz con la camicia di forza, impazziti nell’isolamento e nella deprivazione dei più fondamentali sensi umani. Per liberarsi da Alcatraz, nei tre decenni di storia della prigione, 36 detenuti hanno tentato la fuga. Il più famoso è stato il tentativo fallito del maggio del 1946 noto come la “Battaglia di Alcatraz” nella quale persero la vita due guardie e tre prigionieri. Altrettanto famosa fu la fuga del giugno del 1962 di Frank Morris e dei fratelli John e Clarence Anglin. Non si sa se quella fuga abbia davvero avuto successo. Di fatto, ancora oggi, tutti e tre compaiono nella lista dei ricercati dell’FBI. Di tutti gli altri detenuti che tentarono la fuga da Alcatraz si ha la certezza che sono stati uccisi, sono annegati o sono stati catturati.
A causa degli alti costi di mantenimento, il carcere di Alcatraz è stato chiuso il 21 marzo 1963. Ora, dopo quasi un secolo dalla sua apertura e oltre mezzo secolo dalla sua chiusura, il Presidente degli Stati Uniti d’America lo vuole riaprire. Coi suoi quattro blocchi di celle, l’ufficio delle guardie, la sala delle visite, la biblioteca, il barbiere, la lavanderia, la sartoria. Con le celle primitive di 4 metri quadrati e alte 2 metri, con il letto, un tavolo, un lavandino e una toilette sul muro di fondo sciacquata con acqua di mare. Senza alcuna privacy, senza luce e senza aria da una fonte naturale. E le cinque celle nel blocco D denominate “The Hole” (il buco) destinate ai detenuti più riottosi, isolati a tempo indeterminato e sottoposti a un trattamento brutale.
Prima di morire Papa Bergoglio ha aperto la Porta Santa a Rebibbia e, con questo straordinario gesto simbolico e politico, ha “chiuso” il carcere. Dopo la sua morte, Trump si è vestito da Papa e ha riaperto il carcere di Alcatraz. Povero Papa Francesco, oltraggiato nella memoria e nella sua ferma opposizione alla tortura, anche a quella “forma di tortura – ha denunciato – che si applica mediante la reclusione in carceri di massima sicurezza”, con “la privazione di stimoli sensoriali, la completa impossibilità di comunicare e la mancanza di contatti con altri esseri umani”. Povero Nelson Mandela, tradito nelle Regole basilari che in suo nome le Nazioni Unite hanno stabilito per porre un limite al potere degli Stati nel modo di sorvegliare e punire e, in particolare, nella pratica del confinare un essere umano per un tempo indefinito, che è punizione crudele e inusuale in base a tutte le costituzioni democratiche e carte internazionali sui diritti umani.
Quante storie e immagini d’altri tempi ritornano nell’America di Donald Trump! Quanti e quali effetti di risonanza esse hanno già nella nostra povera Italia!
Nella cintura americana della Bibbia e dell’occhio per occhio, dopo le esecuzioni sulla sedia elettrica, nella camera a gas o tramite fucilazione, si arriva a infliggere la morte anche per asfissia, con il gas azoto che insufflato a forza nei polmoni elimina ogni traccia d’ossigeno dall’aria che respiri. Nella antica culla del diritto, la pena di morte è stata abolita, ma vige la pena fino alla morte e la morte per pena, il diritto costituzionale all’affettività è negato e qualcuno gode del fatto di togliere anche il respiro ai detenuti in 41 bis.
Nella terra promessa della libertà e dell’accoglienza, si ergono muri e chiudono frontiere, e gli immigrati, non solo clandestini, rastrellati per strada, rasati a zero e incatenati mani e piedi, vengono deportati con gli aeroplani nei luoghi d’origine e carcerati. Nel Paese degli italiani-brava gente, migranti in massa in ogni parte del mondo, le persone in fuga da guerre, torture e povertà, approdate miracolosamente sulle nostre coste, sono recluse nei “centri per il rimpatrio” italiani o caricate sulle navi e scaricate in quelli albanesi.
In una notte da incubo, dopo l’annuncio di Trump su Alcatraz, ho sognato la riapertura delle carceri di Pianosa e dell’Asinara.
A Pianosa ci sono stato quasi due anni, nella Diramazione Agrippa, un edificio basso tipo hacienda messicana, battuto tutto l’anno e senza tregua dal vento, dal sole e dalla salsedine. Ricordo le lotte per avere maggiori spazi di socialità, le due costole rotte dalle guardie, la cella d’isolamento e la morfina che mi ha fatto dormire per due giorni e due notti. Alla fine, ottenemmo di fare partite tra squadre di sezioni diverse. A me interessava la socialità per giocare a pallone. Ad altri interessava la vita in comune per fantasticare rocamboleschi piani di fuga. L’Asinara è stata chiusa nel 1998 per volontà di Sandro Margara, illuminato giudice di sorveglianza e grande capo dell’amministrazione penitenziaria. Pianosa è stata chiusa una prima volta nel 1981 da una “rivolta” della polizia penitenziaria, stufa degli spazi troppo aperti e degli abusi di alcuni reclusi. Un giorno si sono presentati compatti in sezione e hanno marciato rumorosamente nei corridoi, hanno aperto le celle, picchiato i detenuti e abbattuto i muri a colpi di piccone.
Un brutto sogno nel mezzo di una brutta storia che voglio abbia però un lieto fine. Lo affido a Robert Stroud ergastolano rinchiuso ad Alcatraz in regime di isolamento. La sua storia incredibile è stata anche raccontata dal regista John Frankeimer nel film “L’uomo di Alcatraz”. Un giorno, dice il racconto, durante l’ora d’aria nel cortile Robert trova sul selciato un passerotto agonizzante. Lo raccoglie, lo cura, lo salva. Allora, chiese e ottenne di poter allevare in cella alcuni canarini. Fu l’inizio del suo cambiamento. Studiò la biologia degli uccelli da gabbia, scoprì nuovi rimedi per curare le loro malattie, scrisse due trattati sulla materia, divenne un ornitologo di fama internazionale. Robert Stroud, la belva umana, isolata dal mondo esterno e dagli altri reclusi, a causa della sua indole violenta, divenne alla fine un uomo buono, dolce e compassionevole.
Nell’America di Donald Trump si vuole aprire di nuovo il famigerato carcere di Alcatraz per “i criminali più spietati e violenti d’America”. “È un’idea che ho avuto, è un simbolo di legge e ordine”, ha spiegato il Presidente.
Nell’Italia di Marco Pannella, il leader della nonviolenza, si vuole introdurre il nuovo reato di rivolta in carcere consumato mediante atti di “resistenza anche passiva” all’esecuzione degli ordini impartiti. Anche qui “per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica”. L’illusione autoritaria degli stati di emergenza, del valore deterrente delle pene e dei regimi di detenzione, unisce oggi le terre d’origine di George Washington e di Cesare Beccaria, un tempo illuminate e governate da stati più elevati di diritto e di coscienza.

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