SUL ‘RINASCIMENTO’ SAUDITA SCORRONO FIUMI DI SANGUE
11 giugno 2023: Sergio D’Elia su L’Unità dell’11 giugno 2023
Il 2022 passerà alla storia della dinastia saudita come l’anno della spada. Nella terra delle due sacre moschee, la giustizia ha squilibrato la stessa bilancia del delitto e del castigo, superato anche l’arcaico, tremendo principio dell’occhio per occhio che pur fissa un limite, comunque impone una misura nella aberrante pratica della pena di morte. La dea bendata dei Saud ha sferrato colpi alla cieca con il suo braccio armato. La legge è stata letteralmente quella del taglione: ha tagliato vite in nome di Dio, ha decapitato esseri umani a un ritmo umanamente insostenibile anche per il più allenato e inumano tagliatore di teste. In tutto il corso dell’anno, almeno 196 persone sono state passate per le armi. In un solo giorno, il 12 di marzo, ne sono state decollate 81. È impossibile solo immaginare come sia potuto accadere, come abbia potuto un boia “normale” compiere l’opera “straordinaria” di “lavorare” senza respiro e senza pietà dall’alba al tramonto. Il rinascimento saudita del principe ereditario, Mohammad bin Salman, è svanito in un giorno nel mare di sangue versato sulla sabbia dorata davanti alla moschea più vicina al luogo del delitto dove i condannati sono stati messi in ginocchio con le mani legate dietro la schiena e la testa posata sul ceppo, il boia ha sguainato la spada e inferto il taglio mortale, la folla ha urlato “Allahu Akbar!” (Dio è grande). Nel 2022, il macabro rito della decapitazione è stato rappresentato almeno 196 volte. In alcuni casi, sarebbero stati uccisi “uomini, donne e bambini innocenti”; in altri, non era stata versata una goccia di sangue; in altri ancora i decapitati erano accusati di avere “credenze devianti”, una formula omnicomprensiva che accomuna fedi religiose opposte, dal fanatismo islamico violento dei sunniti appartenenti ad Al-Qaeda alla versione sciita dell’Islam propria degli Houti. Nel 2023, il regime saudita non ha cambiato verso. Nei primi mesi di quest’anno il braccio violento della legge ha “giustiziato” altre 47 persone. Le ultime tre sono state decapitate domenica scorsa nella regione orientale popolata da sciiti, la minoranza religiosa del regno vittima di abusi, persecuzioni e discriminazioni di ogni genere. L’annuncio è stato dato dal ministero dell’Interno che ha comunicato i nomi dei condannati: Hussein bin Ali bin Muhammad al-Mohishi, Fazel bin Zaki bin Hossein Ansif e Zakaria bin Hassan bin Muhammad al-Mohishi. Secondo il ministero dell’Interno i tre erano colpevoli di “adesione a una cellula terroristica, possesso di armi e aggressione armata a centri e uomini della sicurezza”. Due di loro sono stati accusati anche di stupro e adulterio, uno schema in Arabia Saudita quello di mescolare reati comuni e reati politici, “una deliberata confusione per far accettare alle persone l’esecuzione e ridurre al minimo la simpatia” nei confronti dei rivoltosi della provincia orientale del regno, ha detto Ali Adubisi, il direttore dell’Organizzazione europea saudita per i diritti umani (ESOHR). Il mese scorso, altri tre giovani della regione di Qatif, popolata da sciiti, erano stati giustiziati per simili accuse di “sicurezza”. La provincia orientale dell’Arabia Saudita, ricca di petrolio e prevalentemente sciita, è stata teatro di manifestazioni pacifiche dal febbraio 2011. I manifestanti hanno chiesto riforme, libertà di espressione, il rilascio dei prigionieri politici e la fine della discriminazione economica e religiosa contro la regione. Il regime ha risposto aumentando le misure di sicurezza e il numero delle decapitazioni. Studiosi musulmani sciti sono stati giustiziati e attivisti per i diritti delle donne sono stati messi dietro le sbarre e torturati mentre la libertà di espressione, associazione e credo continua a essere negata. Era apparso al mondo come una stella cometa che annuncia e guida verso una rinascita, una nuova era di vita, luce, libertà nella terra dei Saud. Da quando Mohammed bin Salman è diventato il leader de facto dell’Arabia Saudita nel 2017, invece, il regno è precipitato nelle tenebre. Le teste illuminate del paese – di attivisti, blogger, intellettuali e altri percepiti come oppositori politici – sono state tagliate. L’illuminismo arabo di bin Salman si è spento subito, l’età dei lumi non è durata neanche un lustro. La visione religiosa di un Islam progressista, tollerante e misericordioso è stata profanata da un potere oscurantista votato solo a conservare sé stesso, un ordine odioso costituito sul terrore e una legge spietata come quella del taglione.
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