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HA UN TUMORE AGGRESSIVO MA FAZZALARI RESTA AL 41 BIS

11 febbraio 2023:

Luigi Longo su Il Riformista del 10 febbraio 2023

«La tutela della salute di ogni detenuto costituisce un’assoluta priorità», questo è il pensiero del Ministro della Giustizia Carlo Nordio. E così, in effetti, dovrebbe essere perché il diritto alla salute, che discende dal più generale diritto alla dignità, è un bene fondamentale per l’uomo, ancor prima di quello retributivo, teso a infliggere una sofferenza al reo quale compenso per il male commesso. Diritto, quello alla salute, che – come sostenuto da G. Silvestri – «non si acquisisce per meriti né si perde per demeriti».
Da mesi Ernesto Fazzalari, detenuto al 41 bis presso il carcere di Parma ed ex numero due – dopo Matteo Messina Denaro – tra i ricercati più pericolosi d’Italia e arrestato il 26 giugno 2016, è sottoposto a cicli di chemioterapia in quanto affetto da adenocarcinoma duttale di tipo a cellule chiare: una forma di tumore al pancreas aggressiva e dalla prevedibile prognosi infausta. Il suo generale stato di salute appare già molto compromesso, rilevandosi dall’analisi della cartella clinica la vascolarizzazione della neoplasia unitamente alla presenza di metastasi linfonodali.
Ciò nonostante, il Tribunale di Sorveglianza di Bologna ha rigettato l’istanza di differimento pena. Secondo i magistrati, fuori dal circuito carcerario, Fazzalari non potrebbe ricevere cure diverse o migliori di quelle praticate in regime detentivo attraverso il continuo monitoraggio effettuato dai sanitari e la ininterrotta vigilanza del personale di Polizia penitenziaria, in grado di allertare in qualunque momento l’ausilio medico occorrente.
Orbene, è innegabile che il regime speciale al quale è sottoposto Fazzalari limiti in maniera significativa l’indispensabile sinergia che dovrebbe sussistere tra divisione inframuraria e strutture sanitarie esterne, così compromettendo la tempestività delle cure e l’efficacia di quegli interventi che, nel suo caso, potrebbero rivelarsi perfino salva-vita.
La mancata concessione del differimento di pena lede, infatti, il diritto alla salute del condannato, nella misura in cui gli nega la facoltà di scegliere di curarsi presso la struttura sanitaria da lui ritenuta più conforme alle sue esigenze e alla sua specifica condizione individuale. Infatti, è costretto a curarsi presso l’ospedale di Parma mentre non ha la facoltà di scegliere, in maniera libera e consapevole, il tipo di terapia a cui sottoporsi (ad esempio scegliere un metodo sperimentale praticato nei centri IRSSC o il metodo Di Bella) o finanche di rinunciare alle cure per essere accompagnato, attraverso apposite pratiche del dolore, verso una morte dignitosa e umana né è garantito alcun sostegno psicologico.
Il difensore del Fazzalari, l’avvocato Antonino Napoli, ha più volte chiesto la nomina di un perito che valuti la compatibilità con il regime carcerario e persino l’accesso in carcere di un consulente di parte non viene autorizzata nonostante è stata da tempo chiesta al magistrato di sorveglianza e al direttore del carcere.
Non vi è dubbio che una persona affetta da cancro non curabile può morire da solo in una cella in regime di 41 bis, lontano dall’affetto e dal sostegno dei propri cari, e che la chemioterapia può essere praticata in regime di Day Hospital, ma questa impostazione culturale è insensibile e disumana, oltre che di tipo vendicativo.
Se ai carcerati, al pari di ogni altro soggetto, debbano essere riconosciuti il diritto alla salute, alla vita e alla dignità personale – che, in un ideale bilanciamento, prevalgono financo rispetto alle esigenze repressive dello Stato democratico-costituzionale – appare evidente che costringere Fazzalari a curarsi presso il CDT di Parma e l’Unità Operativa Complessa di Oncologia Medica dell’Azienda Ospedaliera della medesima città, non accordandogli il diritto di sottoporsi a cure e trattamenti, anche sperimentali, praticati presso centri d’eccellenza, presenti in altri luoghi del territori nazionale, costituisce una grave lesione del suo diritto alla salute, al consenso informato e all’autodeterminazione terapeutica.
Così agendo lo Stato si trasforma in un dispotico, feroce e insensibile leviatano, che impone a un suo cittadino – in nome di una medievale concezione di giustizia retributiva, che rasenta la vendetta – una sofferenza che varcando i confini dell’umana tollerabilità, diviene, eticamente e giuridicamente, inaccettabile e non condivisibile.

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