BATTISTI PRENDA ESEMPIO DA PANNELLA: UNA BATTAGLIA NON VIOLENTA NON PUÒ ESSERE FINO ALLA MORTE
25 giugno 2021: Sergio D’Elia su Il Riformista del 25 giugno 2021
Ho deciso di aderire allo sciopero della fame a staffetta per Cesare Battisti promosso da Folsom Prison Blues e coordinato da Umberto Baccolo ed Elisa Torresin. Sperando – forse, contro ogni speranza – che lui cambi il segno e il senso della sua lotta. Un digiuno – per motivi politici o per motivi di salute – non può essere fatto contro qualcuno o contro qualcosa, meno che mai può essere “fino alla morte”. Quindi, aderisco per chiedere a Cesare Battisti di convertirlo in sciopero “fino alla vita”, la sua vita, la vita dei suoi carcerieri, in poche parole, la vita del diritto. Braccato in giro per il mondo come la più grave minaccia alla pace e alla sicurezza del nostro paese. Catturato come un criminale di guerra in uno dei paradisi penali per i veri criminali di guerra. Deportato in Italia in spregio a regole e convenzioni sui diritti umani. Esposto alla gogna e al pubblico ludibrio nel passaggio coatto sotto le forche caudine di Via Arenula e del Viminale. Sottoposto al regime di isolamento in un carcere sperduto e privato dei significativi contatti umani che le Regole di Mandela considerano essenziali per evitare la tortura dei detenenti e la pazzia del detenuto. Alla fine, tolto dall’isolamento e messo in socialità – ironia della sorte o legge del contrappasso – insieme a detenuti per terrorismo di matrice islamica. Cesare Battisti è il “tipo d’autore” perfetto per un processo in contumacia che continua anche quando la contumacia è finita. È un caso emblematico di uso integrale e spietato del “diritto penale del nemico” che ha segnato il regime di emergenza che, al di là di ogni emergenza, vige in Italia da quasi mezzo secolo. Ma, di fronte a tanta ingiustizia e inimicizia, la risposta non può essere di segno uguale e contrario: la lotta “fino alla morte” contro la morte per pena; l’arma di un corpo morto scagliato contro il nemico che lo ha sequestrato e deprivato dei più elementari sensi umani. Il carcere è strutturalmente un luogo di pena, dolore, deprivazione. Non può essere migliorato. A voler essere umani va solo abolito. Ciò nonostante, anche – innanzitutto – in carcere, di fronte ai “cattivi” è giusto diventare “buoni”. Capire che, nel dare corpo alle idee di giustizia, di pace e di libertà, occorre operare prefigurando nell’oggi il domani che vuoi realizzare. Capire che i mezzi devono essere coerenti coi fini, che il corpo occorre darlo alla felicità, al dialogo, all’amore, alla gente e al diritto, non immolarlo, il corpo altrui e il proprio, sull’altare di un’etica del sacrificio e della morte, liberatrice e redentrice. Fare lo sciopero della fame “fino alla morte” è l’opposto della nonviolenza, è la continuazione della violenza con altri mezzi. Non v’è coerenza, non vedo coraggio. L’unica coerenza che occorre osservare in sé ed esigere dagli altri non è quella di chi non cambia mai idea, sentimenti, comportamenti. È quella che crei e t’imponi tra mezzi e fini. L’unico coraggio che bisogna avere nella vita non è quello di combattere fino alla morte, ma quello di amare fino alla vita… anche del tuo nemico. Così Marco Pannella interpretava lo sciopero della fame: un atto d’amore, unilaterale, gratuito, nei confronti dell’avversario, del potere dal quale esigere il rispetto, non della tua volontà, ma delle sue stesse leggi. Questa è la nonviolenza che ho capito: la forza sottile e invisibile, tagliente come la luce di un laser e dura come un filo d’acciaio, che distingue e tiene insieme, che rispetta e lega le persone più diverse. La nonviolenza è la forza del cambiamento, della coscienza, del dialogo, dell’amore, non è mai “contro” qualcosa o qualcuno, ma sempre “per” e “con”. Quando – nel mondo che ti circonda e nel tuo mondo interiore – sembrano prevalere disperazione, indifferenza e rassegnazione, è allora che devi essere tu stesso speranza e perciò creare, anticipare la fine dell’isolamento, essere la realtà diversa che vuoi per te e per le persone che ami e ti amano. Su questo, Ambrogio Crespi ha realizzato un’opera straordinaria, “Spes contra Spem – Liberi dentro”, che racconta il mondo carcerario dove vige ancora l’isolamento e il “fine pena mai”, il 41 bis e l’ergastolo “ostativo”. Le storie dei condannati a vita testimoniano che il carcere può annientare ma anche rigenerare, può essere un luogo e un tempo in cui ci si può perdere per sempre, ma anche il luogo e il tempo in cui è possibile ritrovarsi per sempre, rinascere a nuova vita. Sul senso – creativo, il contrario di mortifero; religioso, l’opposto di diabolico – del digiuno, Mariateresa Di Lascia ha scritto parole bellissime che, Cesare, ti regalo. “Non si può usare in politica uno strumento come il digiuno senza avere amore per l’avversario, senza avere la consapevolezza che la crescita, se ci sarà, avverrà dentro e fuori di noi… Il successo di un digiuno in terapia come in politica è legato alla capacità di liberare la parte migliore di sé, di perdonare e di perdonarsi, di percepirsi come protagonista autentico della propria vita, in una parola: di amare”.
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