IRAN, ACCUSATO DI SPIONAGGIO: DJALALI CONDANNATO A MORTE
23 ottobre 2017: Ahmad Reza Djalali, il medico e ricercatore iraniano arrestato a Teheran lo scorso anno con l'accusa di essere una spia, è stato condannato a morte. Lo rende noto la senatrice novarese del Pd Elena Ferrara, tra le prime a mobilitarsi nei mesi scorsi a favore del ricercatore, che per quattro anni ha lavorato all'Università del Piemonte Orientale. "La notizia ci è arrivata dalla moglie - dice la senatrice - e questa mattina è stata confermata dalla Farnesina. Ridaremo vigore alla mobilitazione, non ci arrendiamo". Djalali, 45 anni, con un lungo passato oltre che all'Università del Piemonte Orientale di Novara, anche presso il Karolinska Institutet di Stoccolma, nonché presso la Vrije Universiteit Brussel, è oramai da più di un anno incarcerato senza una accusa vera nella famigerata prigione di Evin, vicino a Teheran. Non può parlare con nessuno, se non ogni martedì con sua madre e la sorella in Iran. E così la moglie Vida Mehrannia e i figli, ora in Svezia dove lei lavora come chimico, quando possibile, riescono a parlare con lui solo telefonando ai parenti in Iran nello stesso momento in cui Ahmadreza può chiamarli (ma non ci sono orari fissi): avvicinando le due cornette, una dal lato del microfono l'altra al ricevitore. Il regime di Teheran lo accusa di "collaborazione con governi nemici". L'arresto risale al 24 aprile 2016. In carcere ha condotto tre scioperi della fame, e uno delle sete, per affermare la propria innocenza. Le sue condizioni di salute sembrano esser peggiorate velocemente. A suo favore, nei mesi scorsi, c'è stata una vera e propria mobilitazione internazionale, che ha portato alla raccolta di oltre 220 mila firme in tutto il mondo. Amnesty International ha avviato un'azione urgente e i figli di 5 e 14 anni, che vivono in Svezia con la mamma, si sono rivolti anche a Papa Francesco. "Francesco aiuta il mio papà a tornare a casa, non lasciarlo morire in prigione...", era stato il loro appello al Papa via Facebook. L'assemblea generale della Crui ha approvato nel marzo scorso una mozione, in cui i rettori delle università italiane ribadiscono "l'incondizionata difesa di tutte le libertà civili e processuali". (Fonti: la Repubblica, 23/10/2017)
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