INDIANA (USA): PAULA COOPER MORTA, FORSE SUICIDA
26 maggio 2015: Paula Cooper, che nel 1986 divenne la più giovane detenuta dei bracci della morte statunitensi, è stata trovata morta. Per la polizia si tratta di suicidio.
La Cooper aveva 45 anni. Era stata scarcerata il 17 giugno 2013 dopo 28 anni di detenzione. Cooper, una ragazza di colore che all'epoca aveva 15 anni, nel 1985 venne accusata di aver ucciso assieme a 3 coetanee, un’insegnante di catechismo che le aveva accolte nella sua abitazione. Nel 1986 venne condannata a morte, e divenne la più giovane detenuta nei bracci della morte degli Stati Uniti. Per molti, Cooper era un mostro per il quale non aveva senso parlare di riabilitazione. Ma altri la videro come una vittima di un'infanzia piena di abusi, e di un sistema giudiziario fortemente contaminato dal razzismo. Una sfida legale mossa allo stesso concetto di “pena di morte per i minori”, una campagna di solidarietà internazionale alla quale partecipò il Partito Radicale italiano con una massiccia raccolta di firme organizzata da Paolo Pietrosanti e Ivan Novelli, firme poi consegnate nel 1988 da Maurizio Barbera, all'epoca direttore del carcere romano di Rebibbia Femminile, al Segretario delle Nazioni Unite a New York.
Anche il Parlamento Europeo con una risoluzione con Emma Bonino prima firmataria partecipò alla campagna, e Papa Giovanni Paolo II si unì alla mobilitazione internazionale. All'epoca la Corte Suprema degli Stati Uniti stava affrontando il tema della costituzionalità delle condanne a morte di minori. Nel 1988 la Corte dichiarò incostituzionale giustiziare chi al momento del reato aveva meno di 16 anni. L’anno successivo l’Indiana adeguò le sue leggi, portando da 10 a 16 l’età minima per poter ricevere una condanna capitale, e la Corte Suprema dell’Indiana commutò la condanna a morte della Cooper a una condanna a 60 anni. Solo nel 2002 l’Indiana alzò a 18 anni l’età minima per una condanna a morte, e solo il 1° marzo 2005 la Corte Suprema degli Stati Uniti, con un solo voto di scarto, dichiarò incostituzionale la pena di morte per i minori di 18 anni.
Durante il processo, così la pubblica accusa ricostruì il fatto: “Era il 14 maggio 1985 quando 4 ragazze suonarono alla porta di Ruth Pelke, 78 anni, bianca, dicendosi interessate ad approfondire alcune letture della Bibbia”. Entrate, una delle ragazze colpì la Pelke alla testa con un vaso, facendola cadere a terra. "Paula Cooper, come poi ammise al processo, le andò sopra, continuando a chiederle “Dove sono i soldi, cagna?”. Quando l’anziana donna rispose di non avere denaro in casa, la Cooper ha cominciato a torturarla, facendole dei profondi tagli sul petto. La Pelke è morta mentre recitava le ultime preghiere al Signore”.
Cooper e le altre 3 ragazze - Denise Thomas, 14 anni, Karen Corder, 16 anni, e April Beverly, 15 anni - sono fuggite con circa 10 dollari di bottino, e l’automobile della Pelke. Il giorno dopo sono state arrestate “dopo che in giro si erano vantate dell’uccisione”, ricordò la pubblica accusa. La Beverly testimoniò contro le altre, ed ottenne una condanna a 25 anni per la sola rapina. E 'stata rilasciata nel 1999. Ora vive in Colorado. Raggiunta telefonicamente, non ha voluto commentare la notizia del rilascio della Cooper. La Thomas venne condannata per omicidio a 35 anni. È stata rilasciata nel 2003. Anche la Corder venne condannata per omicidio, a 60 anni, ed è stata rilasciata nel 2008. La stampa non è riuscita a localizzarle.
Al processo la Cooper si dichiarò colpevole di omicidio. Il suo difensore dell’epoca, Kevin Relphorde, ha ricordato che la dichiarazione di colpevolezza, e l’aver espresso rimorso, potessero bastare ad evitare la condanna a morte. Ma evidentemente non c’era molto spazio di manovra. Il giorno della sentenza il giudice James Kimbrough fece un lungo discorso sul perché lui era contrario alla pena di morte. Ma poi lasciò cadere la bomba: condanna a morte per Cooper. Ricorda Crawford: “A questo punto l’attenzione sul caso cambiò di segno. Non si parlò più di quanto orrendo fosse il crimine, ma del fatto che una ragazza di soli 16 anni era stata condannata a morte, del fatto che era solo la 4° donna in Indiana a finire nel braccio della morte, e del fatto che comunque l’Indiana non ha mai giustiziato una donna. È un caso che ti rimane in mente quando nel tuo ufficio arriva un emissario del Papa, quando del caso si occupa Amnesty International, e quando dall'Europa arrivano molti segnali di attenzione, soprattutto dall'Italia. Lettere e petizioni sono arrivate in gran numero sulla mia scrivania da procuratore, e in seguito alla Corte Suprema di Stato. Un documento della Indiana Historical Society registra che la Corte Suprema di stato aveva ricevuto oltre 2 milioni di firme, altri appelli arrivarono al governatore Robert Orr, compreso uno, nel settembre 1987, del Papa, e un ulteriore appello arrivò alle Nazioni Unite, con un milione di firme a supporto.
Bill Pelke, un nipote della vittima, che aveva perdonato Paula e nel corso degli anni è diventato un militante della lotta contro la pena di morte, al momento della scarcerazione si disse preoccupato: "La mia preoccupazione principale è vedere che si possa sistemare in qualche modo, e che trovi un lavoro”. Per il resto non aveva commentare il rilascio di Paula perché, aveva aggiunto: “La copertura mediatica potrebbe complicare ulteriormente il già difficile compito di ricostruirsi una vita”.
La sorella della Cooper, Rhonda Labroi, aveva detto “Spero che la gente guardi oltre il fermo immagine dell’epoca, in cui mia sorella è effigiata come una killer adolescente”. "È una persona molto diversa. È molto più istruita, più vecchia e più saggia ora. Penso che le cose saranno diverse." Cooper, ha aggiunto, "ha pagato il suo prezzo. Esistono le seconde possibilità. Sembra che Dio le abbia voluto dare un'altra possibilità. Penso che se la gente sarà d’accordo nel concederle una seconda possibilità, Paula farà bene”. Aveva detto la Labroi.
In una intervista del 2004, Paula Cooper aveva espresso rimorso per le sue azioni, e il desiderio di cambiare radicalmente la sua vita. "Ognuno di noi ha la responsabilità di fare il bene o il male, e se si fa del male, si deve essere puniti". "La riabilitazione viene prima di tutto da noi stessi. Se non sei pronto per essere riabilitato, non lo sarai." Jack Crawford, che rappresentò la pubblica accusa al processo, nel frattempo ha maturato una posizione contraria alla pena di morte. Ma conferma che all’epoca la legge prevedeva che si potesse chiedere la pena di morte in casi particolarmente gravi a partire dai 10 anni di età, e a lui, per l’efferato omicidio della signora Pelke, la condanna sembrava appropriata. “Il Caso della Cooper, il suo processo e la condanna a morte” ha detto Crawford “hanno attratto l’attenzione dei media più di ogni altro caso che ho seguito nei 12 anni da procuratore della Lake County, per diverse ragioni: perché lei era una donna, perché aveva 15 anni, per la ferocia dell’uccisione, e per il contrasto tra lei, nera, e la sua vittima, bianca”. "Furono 4 ragazze adolescenti, durante la pausa pranzo al liceo, a suonare a casa della vittima, e compiere l’orribile crimine. Era sorprendente che queste 4 ragazze potessero aver fatto una cosa del genere con tanta fredda cattiveria. Le ragazze avevano ben pianificato di uccidere la donna perché non le riconoscesse, e la Cooper, a capo della banda, si era portata dietro un coltello da macellaio con la lama da 30 centimetri”. Al momento della scarcerazione l’Amministrazione Penitenziaria aveva reso noto il curriculum della Cooper: ripresa 23 volte per violazioni al regolamento, 10 delle quali di basso livello, e condannata nel 1995 a 3 anni di isolamento per aver aggredito una guardia penitenziaria. Nell'intervista del 2004 la Cooper aveva ricordato quegli anni di tensione: “Ero molto amareggiata, ed arrabbiata, e così mi ficcavo spesso nei guai. Poi un giorno ho deciso che dovevo iniziare a calmarmi”. Quindi ha studiato, ha preso la maturità, ha frequentato un corso professionale, e ha preso una laurea di 1° livello. Ha collaborato nell'addestramento di cani per i ciechi, e dal 2011 ha lavorato come tutor.
Crawford, il suo ex pubblico ministero, attraverso la stampa le fece gli auguri per la sua nuova fase di vita: “Ha scontato la sua pena, e forse può dare un contributo di qualche tipo alla società. Spero che continui nel suo percorso di riabilitazione, e trovi il modo di riparare in qualche misura al crimine che ha compiuto 30 anni fa”. Non è ancora chiaro cosa possa aver portato Paula Cooper al suicidio. (Fonti: The Guardian, Nessuno tocchi Caino, 26/05/2015)
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