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AMNESTY INTERNATIONAL: RAPPORTO SULLA PENA DI MORTE NEL 2024

11 aprile 2025:

Il numero di esecuzioni a livello globale ha raggiunto nel 2024 il livello più alto dal 2015, con oltre 1500 persone messe a morte in 15 stati. È quanto emerso dal rapporto annuale sulla pena di morte di Amnesty International, intitolato “Condanne a morte ed esecuzioni 2024”.
Secondo il rapporto, nel 2024 sono state registrate almeno 1518 esecuzioni, il dato più alto dal 2015, quando se ne contarono almeno 1634. La maggior parte delle esecuzioni è avvenuta in Medio Oriente. Tuttavia, per il secondo anno consecutivo, il numero degli stati che hanno eseguito condanne a morte è rimasto il più basso mai registrato.
I dati noti non includono le migliaia di persone che si crede siano state messe a morte in Cina, che continua a essere lo stato con il più alto numero di esecuzioni al mondo, così come nella Corea del Nord e in Vietnam, dove si ritiene che la pena di morte venga ancora ampiamente applicata. Le crisi in corso in Palestina e in Siria non hanno permesso ad Amnesty International di confermare numeri precisi.
Iran, Iraq e Arabia Saudita sono stati responsabili dell’aumento complessivo delle esecuzioni note. Nell’insieme, questi tre stati hanno registrato l’impressionante totale di 1380 esecuzioni. L’Iraq ha quasi quadruplicato il numero delle esecuzioni (da almeno 16 ad almeno 63), l’Arabia Saudita ha raddoppiato il suo totale annuo (da 172 ad almeno 345), mentre l’Iran ha messo a morte 119 persone in più rispetto al 2023 (da almeno 853 ad almeno 972), totalizzando il 64 per cento di tutte le esecuzioni note.
“La pena di morte è una pratica aberrante che non ha posto nel mondo di oggi. Sebbene in alcuni stati la segretezza continui a ostacolare il monitoraggio internazionale, rendendo difficile valutare l’effettiva entità delle esecuzioni, è evidente che quelli che mantengono la pena di morte costituiscono una minoranza sempre più isolata. Con soli 15 stati ad aver eseguito condanne a morte nel 2024, il numero più basso mai registrato per il secondo anno consecutivo, si conferma la tendenza all’abbandono di questa punizione crudele, inumana e degradante”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.
“Iran, Iraq e Arabia Saudita sono stati responsabili dell’aumento vertiginoso delle esecuzioni, portando a termine oltre il 91 per cento di quelle documentate, violando i diritti umani e togliendo la vita per accuse legate alla droga e di terrorismo”, ha aggiunto Callamard.
I cinque stati con il più alto numero di esecuzioni registrato nel 2024 sono stati Cina, Iran, Arabia Saudita, Iraq e Yemen. 

La pena di morte come strumento di repressione
Nel corso del 2024, Amnesty International ha osservato come leader politici abbiano strumentalizzato la pena di morte con il falso pretesto di migliorare la sicurezza pubblica o per seminare paura tra la popolazione. Negli Stati Uniti, dove le esecuzioni sono in costante aumento dalla fine della pandemia da Covid-19, sono state messe a morte 25 persone, contro le 24 del 2023. Il neoeletto presidente Donald Trump ha più volte invocato la pena di morte nei confronti di “stupratori violenti, assassini e mostri”. Le sue dichiarazioni disumanizzanti hanno alimentato la falsa convinzione che la pena capitale abbia un effetto deterrente unico contro la criminalità.
In alcuni stati del Medio Oriente la pena di morte è stata usata per mettere a tacere difensori dei diritti umani, dissidenti, manifestanti, oppositori politici e minoranze etniche.
“Coloro che hanno osato sfidare le autorità hanno subito la punizione più crudele, in particolare in Iran e in Arabia Saudita, dove la pena di morte è stata impiegata per ridurre al silenzio chi ha avuto il coraggio di esprimersi”, ha detto Callamard.
“Nel 2024 l’Iran ha continuato a usare la pena di morte contro coloro che avevano messo in discussione l’autorità della Repubblica islamica durante le manifestazioni del movimento ‘Donna Vita Libertà’. Lo scorso anno due di queste persone, tra cui un giovane con disabilità mentale, sono state messe a morte in relazione alle proteste, a seguito di processi iniqui e di ‘confessioni’ estorte con la tortura, dimostrando fino a che punto le autorità siano state disposte a spingersi per rafforzare la loro presa sul potere”, ha proseguito Callamard.
Le autorità saudite hanno continuato a utilizzare la pena di morte per reprimere il dissenso politico e punire appartenenti alla minoranza sciita che avevano partecipato a proteste ‘contro il governo’ tra il 2011 e il 2013. Ad agosto le autorità hanno messo a morte Abdulmajeed al-Nimr per reati legati al terrorismo e alla sua presunta adesione ad al-Qaeda, nonostante i primi atti giudiziari avessero fatto riferimento esclusivamente alla sua partecipazione alle proteste.
Nella Repubblica Democratica del Congo il governo ha annunciato l’intenzione di riprendere le esecuzioni, mentre le autorità militari del Burkina Faso hanno dichiarato di voler reintrodurre la pena di morte per i reati comuni.

Aumento delle esecuzioni per reati legati alla droga
Oltre il 40 per cento delle esecuzioni avvenute nel 2024 ha riguardato, illegalmente, reati legati alla droga. Secondo il diritto internazionale dei diritti umani e gli standard internazionali, la pena di morte deve essere limitata ai “reati più gravi” e le condanne a morte per reati legati alla droga non raggiungono questa soglia.
“Le esecuzioni per reati legati alla droga sono state frequenti in Cina, Iran, Arabia Saudita e Singapore e, sebbene non sia stato possibile confermarlo, probabilmente anche in Vietnam. In molti contesti, condannare a morte persone per reati legati alla droga ha un impatto sproporzionato su persone provenienti da contesti svantaggiati, senza alcuna prova che ciò contribuisca a ridurre il traffico di stupefacenti”, ha dichiarato Callamard.
“I leader politici che promuovono la pena di morte per reati legati alla droga propongono soluzioni inefficaci e illegali. Gli stati che stanno valutando di introdurre la pena capitale per questi reati, come Maldive, Nigeria e Tonga, devono essere denunciati e incoraggiati a mettere i diritti umani al centro delle loro politiche sulle droghe”, ha aggiunto Callamard.

La forza della mobilitazione
Nonostante l’aumento delle esecuzioni, solo 15 stati hanno portato a termine condanne a morte, il numero più basso mai registrato per il secondo anno consecutivo. Ad oggi, 113 stati hanno abolito completamente la pena di morte e in totale 145 l’hanno eliminata dalle leggi o dalla prassi.
Nel 2024 lo Zimbabwe ha promulgato una legge che ha abolito la pena di morte per i reati comuni. Per la prima volta, più di due terzi di tutti gli stati membri delle Nazioni Unite hanno votato a favore della decima risoluzione dell’Assemblea generale per una moratoria sull’uso della pena di morte. Le riforme in materia di pena di morte adottate in Malesia hanno inoltre portato a una riduzione di oltre 1000 persone della popolazione dei bracci della morte.
Il 2024 ha anche mostrato la forza della mobilitazione. A settembre è stato assolto Hakamada Iwao, che aveva trascorso quasi cinque decenni nel braccio della morte in Giappone. La tendenza sta proseguendo nel 2025: a marzo Rocky Myers, un nero condannato a morte in Alabama, Usa, nonostante gravi irregolarità verificatesi nel processo, ha ottenuto la commutazione della condanna a morte in ergastolo grazie alle richieste della sua famiglia e del suo team legale, al sostegno di un ex giurato, di attivisti locali e della comunità internazionale.
(Fonte: Amnesty International, 08/04/2025)

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