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ERRORI GIUDIZIARI? IN ITALIA SI PREFERISCE BUTTARE LA CHIAVE

10 agosto 2024:

Valerio Fioravanti su l’Unità del 10 ottobre 2024

In un mese, due persone sono state dichiarate innocenti dopo aver scontato molti anni di carcere: Larry Roberts in California, e una donna, Sandra Hemme, in Missouri.
Roberts aveva trascorso 41 anni nel braccio della morte, la Hemme 44 anni di una condanna all’ergastolo. I casi sono praticamente identici: comportamento scorretto della polizia e della pubblica accusa. Nel caso della Hemme è ormai quasi certo che il vero colpevole fosse un poliziotto-rapinatore, che i “colleghi” hanno difeso a oltranza nascondendo tutti gli elementi contro di lui.
Le storie di innocenza si assomigliano un po’ tutte (poi vedremo le statistiche/casistiche americane), e sottendono tutte la stessa domanda: ma sono davvero “innocenti”, o semplicemente non sono state trovate le prove contro di loro? In alcuni casi i giudici dichiarano che il condannato deve essere scarcerato perché “effettivamente innocente”. Questa è la formula migliore, se così possiamo dire, perché, almeno, da diritto alla vittima dell’errore di chiedere subito un risarcimento. In altri casi si tratta di una gigantesca “mancanza di prove”. Non la vecchia “insufficienza di prove” che esisteva anche nel codice italiano, ma una mancanza di prove “totale”. Qui per il risarcimento c’è un po’ da combattere ma di solito, dopo un ulteriore approfondimento (a detenuto ormai scarcerato), gli avvocati difensori riescono a far fissare una nuova udienza e ottenere la dichiarazione di “effettiva innocenza”.
Immagino che molti trovino le storie di innocenza disturbanti.
In teoria siamo tutti d’accordo che un chirurgo può sbagliare un’operazione, un medico una diagnosi, uno scienziato un esperimento, e un giudice una sentenza. Ma mentre medici e scienziati (e tutti gli altri miliardi di esseri umani che sbagliano qualcosa ogni giorno) lo fanno nel loro proprio nome, chi emette una sentenza sbagliata lo fa “in nome del popolo”. E quindi per ogni caso di innocenza che viene a galla, siamo in qualche misura tirati in gioco: evidentemente nella serie di deleghe previste dal meccanismo democratico, qualcosa non ha funzionato bene.
Un giudice sbaglia, e va bene, ma i giornalisti, hanno seguito bene il caso? E i politici, hanno vigilato per la loro parte? E gli avvocati, anche fuori dall’aula, hanno fatto tutto il possibile? E tutti noi, ci siamo accontentati dei titoli dei giornali o abbiamo provato a ragionare? Quando si parla di “divisione dei poteri” non vuol dire che nessuno è responsabile degli errori degli altri, o almeno, non dovrebbe essere così.
Torniamo negli USA. I casi di innocenza sono molti: dal 1973 a oggi 200 persone la cui condanna a morte era già definitiva hanno ottenuto la scarcerazione, e il riconoscimento di “effettiva innocenza”. Un conteggio diverso, effettuato non sui condannati a morte ma su imputati che hanno ricevuto condanne superiori a 20 anni, dice che dal 1989 sono stati dichiarati innocenti 3.563 condannati definitivi. Questi conti li fa il National Registry of Exonerations, in cui confluiscono 4 università.
Il Registry calcola che dal 1989 sono stati scontati ingiustamente almeno 31.900 anni di detenzione. Ma soprattutto il Registry ci ricorda una cosa ovvia ma troppo spesso sottaciuta: per ogni innocente condannato, c’è un colpevole che è stato lasciato libero.
In Italia i casi di innocenza di un detenuto definitivo sono pochissimi, ma non sono censiti da nessuno. Ai tempi del processo Sofri, quando sembrava che potesse ottenere un annullamento della condanna definitiva (che poi non ottenne) i principali cronisti giudiziari scrissero che nel dopoguerra si erano verificati solo 5 casi. Spero vivamente di sbagliarmi, ma da allora ricordo solo altri due casi, un egiziano da qualche parte in nord Italia, e Beniamino Zuncheddu due mesi fa.
Il 90% dei casi di innocenza negli Stati Uniti viene seguito da Ong, quasi tutte originate all’interno di università, e ben collegate tra loro. Questa è una cosa che in Italia non si può fare: che professori universitari e studenti lavorino (ottenendo dallo stato il semplice rimborso spese che spetta agli avvocati d’ufficio) su casi reali, da noi sarebbe visto come un’attività a cui mandare subito la guardia di Finanza, o il giudice del lavoro per lo sfruttamento degli studenti. Ma anche le Ong avrebbero vita difficile: professori universitari che contestano centinaia di condanne, che “delegittimano la magistratura”? Quanto durerebbero?
Quindi sì, in tutto il mondo vengono commessi “errori giudiziari”, ma poi ci sono culture dove si lavora per correggere gli errori, e altre dove non lo si fa, dove “si butta la chiave”, e pazienza se è la chiave sbagliata.

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