situazione:Secondo il “Death Penalty India Report”, pubblicato nel febbraio 2016 dalla National Law University di Delhi, durante il periodo 2000-2015 (gennaio), delle 1.486 condanne a morte imposte dai tribunali di primo grado per le quali è stato possibile seguire l’iter nei vari gradi di appello, solo il 4,9% (73 detenuti) è rimasto nel braccio della morte dopo la decisione finale della Corte Suprema. Sul totale di condanne a morte, il 65,3% (970 detenuti) sono state commutate (851 presso l’Alta Corte e 114 presso la Corte Suprema, che ha però aggravato in pena di morte 5 delle commutazioni dell’Alta Corte), mentre altri 443 (29,8%) dei prigionieri condannati a morte sono stati assolti nei successivi gradi di giudizio (428 dall’Alta Corte e 16 dalla Corte Suprema, che ha convertito in pena di morte 1 assoluzione dell’Alta Corte). “Il numero estremamente basso di condanne a morte confermate dalla Corte Suprema rende imperativo il problema che la pena di morte in India pone in termini di numero di anni che i prigionieri ingiustificatamente passano sotto sentenza di morte con il trauma e la sofferenza che l’accompagnano”, dice il rapporto. “Il numero dei mesi trascorsi da questi prigionieri nel braccio della morte prima di essere dichiarati innocenti rende la loro tormentata esistenza in attesa di esecuzione inimmaginabile.”
L’11 luglio 2015, in occasione di un incontro organizzato dalla Law Commission of India, che funziona come organo consultivo del Ministero della Legge e della Giustizia, membri del parlamento e leader politici di diversi schieramenti si sono espressi a favore dell’abolizione della pena di morte e hanno chiesto alla Commissione di presentare un rapporto che propone la sua abrogazione nel Paese. Nel suo discorso inaugurale, l’ex governatore del Bengala Occidentale, Gopal Krishna Gandhi, nipote del Mahatma Gandhi, ha detto: “la pena di morte è un omicidio giudiziario e nessuno Stato dovrebbe adottare l’omicidio giudiziario come forma di rivalsa. Gli architetti giudiziari non devono permettere alla follia politica di deturpare il paesaggio architettonico”. “La pena di morte deve finire. Stato significa proteggere la vita delle persone, non toglierla per rappresaglia”, ha aggiunto, definendo la pena capitale come “il frutto più ripugnante”. D’accordo con lui, Varun Gandhi, Segretario Generale del Bharatiya Janata Party (BJP), ha sostenuto che una punizione che funga da deterrente è controproducente politicamente e socialmente dal momento che il colpevole diventa un martire e suscita simpatia. “Vengono dipinti come eroi o ragazzi da poster”, ha detto il deputato del BJP proponendo l’ergastolo come misura alternativa. Affrontando la questione della pena e della deterrenza, Gandhi ha chiesto: “La questione è se una morte alquanto veloce, rapida e in qualche modo indolore sia una punizione maggiore di una pena detentiva senza possibilità di liberazione condizionale o su cauzione”. “A mio avviso, una pena a vita senza alcuna speranza di uscita è una morte vivente molto più dura di una via d’uscita in 20 secondi che di fatto libera moralmente una persona da qualsiasi peso lo possa opprimere.” Anche il deputato del Congresso Shashi Tharoor si è espresso contro la pena di morte, alla luce del cambiamento in atto in tutto il mondo, mentre l’ex Ministro dell’Unione Manish Tiwari ha rilevato che la maggior parte dei casi contiene pregiudizi sociali ed economici e tutto il sistema di giustizia penale deve essere rivisto. Il Presidente della Law Commission, giudice AP Shah, ha detto che c’è una “seria” necessità di riesaminare la pena di morte nel Paese. “Di solito sono i poveri e gli oppressi a essere soggetti alla pena di morte. La pena di morte è un privilegio riservato ai poveri”, ha detto Shah, ex giudice dell’Alta Corte di Delhi, parlando a una lezione su “Abolizione universale della pena di morte: un imperativo per i Diritti Umani”, tenuta dal professor Roger Hood dell’Università di Oxford. “Ci sono incongruenze nel sistema e c’è necessità di un modello alternativo per condannare i crimini e un forte bisogno di riesaminare la pena di morte in India.”
Il 31 agosto 2015, nel suo rapporto di 242 pagine presentato al Governo e alla Corte Suprema, la Law Commission of India ha raccomandato l’abolizione della pena di morte per tutti i reati tranne che per terrorismo e guerra contro il paese. Il suo Presidente, giudice AP Shah, ha detto che la relazione della Commissione ha lo scopo “di contribuire a un dibattito più razionale, di principio e informato sull’abolizione della pena di morte per tutti i reati”. “La macchina della pena capitale come opera in India perpetra pratiche punitive vietate dalla legge che infliggono dolore, l’agonia e la tortura che vanno spesso ben al di là della sofferenza massima consentita dall’articolo 21”, dice il rapporto. Gli effetti devastanti di questo fenomeno complesso imposti ai prigionieri possono essere definiti solo come una morte vivente, ha aggiunto. “Mentre le illegalità relative al fenomeno del braccio della morte in un caso particolare possono essere rimediate dai giudici con la commutazione della pena di morte, la sofferenza illegale a cui i detenuti sono stati sottoposti nel braccio della morte getta una lunga ombra sulla amministrazione della giustizia penale nel paese”, si legge. “La Commissione suggerisce che la pena di morte sia immediatamente abolita per tutti i reati diversi da quelli terroristici, per i quali però si raccomanda una moratoria immediata sia sulle condanne sia sulle esecuzioni per terrorismo. Questa moratoria può essere riesaminata dopo un periodo ragionevole”, dice il rapporto. La Commissione ha inoltre auspicato che il “muovere verso l’abolizione assoluta sia rapido e irreversibile”. Nel 1962 la stessa Commissione aveva raccomandato il mantenimento della pena di morte.
L’articolo 72 della Costituzione conferisce al Presidente il potere di concedere la grazia o di sospendere, rinviare o commutare la pena di una persona condannata per qualsiasi reato. Nella sua decisione, il Presidente è guidato e consigliato dal Ministro dell’Interno e dal Consiglio dei Ministri.
Al 4 febbraio 2016, 437 richieste di grazia sono state inoltrate ai Presidenti dell’India che si sono susseguiti dall’indipendenza nel 1950. Di queste, 306 condanne a morte sono state commutate in ergastolo, secondo i dati del Ministero degli Interni.
La Presidente Pratibha Devisingh Patil, che ha concluso il suo mandato nel giugno 2012, è risultata essere il più “misericordioso” di tutti i Presidenti negli ultimi tre decenni, avendo commutato in ergastolo le condanne a morte di 34 persone. Durante il suo mandato, infatti, la Patil ha respinto le richieste di grazia di solo cinque persone.
La linea dell’attuale Presidente, Pranab Mukherjee, entrato in carica il 25 luglio 2012, è apparsa in netto contrasto con quella del suo predecessore Pratibha Patil.
Tuttavia, per la prima volta nella storia, nel 2016, il Presidente ha concesso una grazia nonostante il parere contrario del Ministro dell’Interno e del Governo: il 18 settembre 2016 il Presidente Mukherjee, nel decidere in merito a sei richieste di grazia, ne ha rifiutate cinque e ne ha commutata una in ergastolo, quella di Jeetendra Singh Gehlot, su cui c’era il parere contrario del Ministro. Lo ha fatto perché a suo giudizio il parere contrario del Ministro degli Interni era in contrasto con quanto stabilito dalla Corte Suprema nel caso Shatrughan Chauhan vs Union of India del 21 gennaio 2014, quando ha detto che il ritardo eccessivo da parte del Presidente nel decidere sulla richiesta di grazia è un valido motivo per commutare la condanna a morte in ergastolo. Analoga decisione il Presidente l’ha presa il 1 gennaio 2017, quando ha concesso la grazia in altri quattro casi su cui c’era il parere contrario del Governo.
In questo modo, il Presidente, Pranab Mukherjee ha respinto 28 istanze di clemenza riguardanti 37 condannati a morte, concedendola in solo sette casi: per Atbir Singh nel novembre del 2012; per Man Bahadur Dewan alias Tote Dewan nel marzo del 2015; per Jeetendra Gehlot nel settembre 2016 e, nel gennaio 2017, per Krishna Mochi, Nanhe Lal Mochi, Bir Kuer Paswan e Dharmendra Sing, alias Dharu Sing, tutti accusati del massacro avvenuto nel debbraio 1992 nel villaggio di Bara del distretto di Gaya, nel quale 32 membri della casta bramini Bhumihar furono uccisi dall’organizzazione fuorilegge Centro Comunista Maoista (MCC).
La guerra alla droga
In base al Narcotic Drugs and Psychotropic Substances Amendment Act del dicembre del 1988, una seconda condanna per traffico di droga è passibile di pena di morte.
Nel giugno 2011, l’Alta Corte di Bombay, una delle più antiche e riconosciute Alte Corti dell’India, ha eliminato la pena di morte obbligatoria per reati legati alla droga e solo nel gennaio 2012, per la prima volta in India, una corte speciale anti-droga ha condannato a morte un uomo per un crimine legato alla droga.
Il 7 marzo 2014, l'India ha sostituito la pena di morte obbligatoria prevista dalla legge sugli stupefacenti e le sostanze psicotrope con una condanna a morte facoltativa, a seguito della sentenza del 2011 dell'Alta Corte di Maharashtra nel caso India Harm Reduction Network vs Union of India, nella quale la pena di morte obbligatoria per i trasgressori recidivi, di cui alla sezione 31A del Narcotic Drugs and Psychotropic Substances Act, 1985, è stata dichiarata incostituzionale.
Il 9 aprile 2016, per la prima volta un tribunale nel Bengala ha comminato la pena di morte in base al Narcotic Drugs and Psychotropic Substances Act, 1985. <div">Quasi 14 anni dopo essere stato arrestato, un tribunale di Barasat ha condannato a morte un residente di Karaya, Anwar Rehman, riconosciuto colpevole di traffico di droga a Kolkata e arrestato dal Narcotics Control Bureau (NCB) con oltre 53,5 chili di eroina.
I funzionari del NCB hanno spiegato che la pena di morte è di solito inflitta in casi davvero rari, in genere quando la quantità recuperata è enorme e l’imputato è un recidivo.
La guerra al terrorismo
Le corti speciali stabilite in base al Terrorist Affected Areas Special Courts Act del 1984 e in base al Prevention of Terrorism Act (POTA) del 2002, avevano il potere di imporre la pena di morte per atti di terrorismo. Quest’ultima legge, che aveva ampliato la sfera di applicazione della pena di morte per volontà del partito nazionalista indù BJP a seguito di un attentato al Parlamento indiano nel dicembre 2001, è stata giudicata lesiva dei diritti umani e politici dal governo uscito vittorioso dalle elezioni del maggio 2004 e dominato dal Partito del Congresso di Sonia Gandhi. Conseguentemente, il Parlamento, il 9 dicembre 2004, l’ha abrogata, dopo un lungo dibattito e l’abbandono dell’aula per protesta da parte dell’opposizione. Contestualmente, il POTA è stato rimpiazzato dal Unlawful Activities (Prevention) Bill, che ha emendato l’Unlawful Activities (Prevention) Act del 1967 al fine di coprire i casi di terrorismo. In base a questa legge, i condannati per terrorismo possono essere puniti con la pena di morte o l’ergastolo per ogni atto che provochi la perdita di vite umane. Più precisamente, è punito chiunque metta in pericolo l’unità, l’integrità, la sicurezza e la sovranità nazionale o sparga il terrore tra la popolazione in India o in altri Paesi usando bombe, dinamite o altri esplosivi, sostanze infiammabili, armi da fuoco o altre armi letali che causino o possano causare la morte. Nell’ambito della lotta contro il terrorismo, il 24 gennaio 2003, India e Francia hanno firmato un trattato di estradizione finalizzato a rafforzare la cooperazione giudiziaria contro il terrorismo. Il trattato comprende le assicurazioni da parte dell’India che le persone estradate dalla Francia non verranno condannate a morte.
Il 21 dicembre 2011, nel tentativo di proteggere gli oleodotti strategicamente importanti da atti di terrorismo come il sabotaggio, il Parlamento ha introdotto la pena di morte per questi crimini modificando il Petroleum and Minerals Pipelines (Acquisition of Right of User in Land) Amendment, Bill 2011. La punizione “può estendersi al carcere a vita o alla morte” nel caso in cui l’atto di sabotaggio sia talmente pericoloso da poter causare la morte di esseri umani. Prima della modifica, la legge prevedeva una pena detentiva da uno a tre anni di carcere per atti di sabotaggio e furti. Nel corso del dibattito sul progetto di legge, il Ministro del petrolio e del gas naturale, Ratanjit Narain Pratap Singh, ha detto che gli articoli in vigore della legge del 1962 non contenevano disposizioni adeguate per prevenire tali incidenti. Sulla questione della pena di morte prevista nel disegno di legge, Singh ha detto che questa sarebbe applicabile solo nel “più raro dei casi rari contro mafie e sabotatori”. Singh ha detto che nel disegno di legge è stata inserita la parola “volontariamente” per tutelare le persone innocenti che abbiano causato danni a una rete di rifornimento accidentalmente o per errore.
Il 1° febbraio 2012, la Corte Suprema dell’India ha dichiarato nullo l’Articolo 27(3) della Legge sulle Armi del 1959, che prevede la “pena di morte obbligatoria” in caso di morte causata da uso di armi illegali, in quanto “ultra vires” (oltre i poteri) della Costituzione. La disposizione relativa alla pena di morte fu inserita nell’Articolo 27 della Legge nel 1988, sull’onda delle attività terroristiche anti-nazionali in Punjab.
Il 30 luglio 2015, poco più di 22 anni dopo gli attentati esplosivi di Mumbai che nel 1993 provocarono la morte di 257 persone, il solo condannato nel braccio della morte legato al caso, Yakub Memon Abdul Razak, è stato impiccato nella Prigione Centrale della città di Nagpur. Yakub Memon è stato mandato al patibolo – nel giorno del suo 54° compleanno - dopo che molti suoi appelli e richieste di grazia sono stati respinti da vari tribunali, compresa la Corte Suprema che ha rigettato una richiesta dell’ultimo minuto di sospensione dell’esecuzione. Secondo i pubblici ministeri, Yakub Memon aveva avuto un ruolo fondamentale nell’organizzazione degli attentati, gestito i finanziamenti, fatto piani degli spostamenti, stoccato le armi e comprato i veicoli per farne autobombe. Di tutti coloro che sono stati condannati in relazione agli attentati esplosivi, compresi gli uomini che hanno posizionato l’esplosivo, Memon è l’unico che è stato giustiziato. Secondo le procedure della prigione, al condannato viene offerto un bagno, un ultimo pasto, abiti puliti e la possibilità di pregare prima di andare al patibolo. Yakub Memon è la quinta persona giustiziata in India dal 1995. Prima di lui, l’ultimo giustiziato era stato Afzal Guru nel 2013.
Il sistema legislativo indiano prevede diversi livelli di appello, grazie ai quali le condanne a morte sono spesso commutate in ergastolo. Non esistono statistiche ufficiali sul numero delle sentenze e delle esecuzioni capitali nel paese né sul numero delle persone detenute nel braccio della morte. Normalmente, le esecuzioni vengono rinviate a tempo indeterminato oppure commutate dal Presidente. L’articolo 72 della Costituzione dà infatti al Presidente il potere di concedere la grazia o di sospendere, rinviare o commutare la pena di una persona condannata per qualsiasi reato. Il Presidente è guidato e consigliato dal Ministro dell’Interno e dal Consiglio dei ministri nella sua decisione. Non vi è lasso di tempo prestabilito nel quale il Presidente deve prendere la decisione, che è soggetta a revisione giurisdizionale secondo quanto stabilito l’11 dicembre 2006, dalla Corte Suprema indiana per la quale è necessario valutare se ci siano “considerazioni non pertinenti nell’esercizio di questo potere”.
La Presidente Pratibha Devisingh Patil, che ha concluso il suo mandato nel giugno 2012, è risultata essere il più “misericordioso” di tutti i presidenti negli ultimi tre decenni, avendo commutato in ergastolo le condanne a morte di 38 persone. La Presidente Patil, che comunque ha respinto le richieste di grazia di cinque persone, può vantare un tasso di concessione di clemenze del 200%. La propensione alla clemenza della Patil non ha suscitato proteste in nessun settore del Governo. I media indiani, invece, hanno generalmente criticato questo suo record, mettendo in discussione l’opportunità di atti di clemenza in alcuni casi di omicidio, stupro e rapimento di minori.
La linea dell’attuale Presidente, Pranab Mukherjee, entrato in carica il 25 luglio 2012, è apparsa in netto contrasto con quella del suo predecessore Pratibha Patil. Al 31 agosto 2014, dopo due anni di mandato, Mukherjee aveva respinto il 97% delle istanze di clemenza, avendone esaminate 23 riguardanti 31 condannati a morte e concedendola in un solo caso.
La pena di morte top secret
Le statistiche sulle esecuzioni in India dal 1947 non sono disponibili. Il Governo ha trattato le informazioni sulla pena di morte come un segreto di Stato.
Secondo il Rapporto relativo alla “Pena Capitale” della Law Commission of India, che funziona come organo consultivo del Ministero della Legge e della Giustizia, un totale di 1.410 detenuti nel braccio della morte sono stati giustiziati in vari Stati dal 1953 al 1963. Il Rapporto della Commissione, tuttavia, non ha coperto Stati federati o territori dell’India quali Assam, Jammu e Kashmir, Rajasthan e Delhi e le cifre non sono quindi accurate. Non ci sono poi statistiche relative alle esecuzioni effettuate dal 1964 al 1994 in aggiunta a quelle mancanti precedenti al 1953.
Il National Crime Records Bureau (NCRB) ha iniziato a raccogliere informazioni sulla pena di morte solo dal 1995 e da allora, secondo il NCRB, un totale di 21 condannati a morte sono stati giustiziati.
Le esecuzioni segrete di prigionieri nel braccio della morte sono diventate una questione sempre più all’ordine del giorno in India dopo le impiccagioni del novembre 2012 e del febbraio 2013, che hanno interrotto una moratoria di fatto che durava dal 2004 e sono state effettuate in una cornice di massima segretezza. L’uso di queste tattiche segrete mira a evitare possibili reazioni e proteste prima dell’esecuzione, ma ancor più a precludere possibili ricorsi a un giudice in cerca di un ordine di sospensione dell’esecuzione.
Nel novembre 2012, il cittadino pakistano Mohammad Ajmal Kasab è stato impiccato all’alba nel carcere di Yerawada a Pune, appena dopo che il Presidente indiano Pranab Mukherjee aveva respinto la sua richiesta di grazia. Nel febbraio 2013, Muhammad Afzal, noto come Afzal Guru, militante del gruppo Jaish-e-Muhammad, è stato impiccato nel carcere di Tihar, alcuni giorni dopo che il Presidente Mukherjee aveva respinto la richiesta di grazia presentata dalla moglie.
I due casi sono stati connotati da diversi profili di segretezza: il prigioniero condannato a morte non è stato informato in anticipo della sua imminente esecuzione; alla famiglia del prigioniero non è stato dato alcun preavviso dell’esecuzione; la data di esecuzione non è stata comunicata ai media e al grande pubblico fino a che l’esecuzione non ha avuto luogo. L’uso di queste tattiche segrete mira a evitare possibili reazioni e proteste prima dell’esecuzione, ma ancor più a precludere possibili ricorsi a un giudice in cerca di un ordine di sospensione dell’esecuzione.
Le linee guida della Corte Suprema indiana sul trattamento delle persone nel braccio della morte includono tra l’altro un avviso di almeno 14 giorni che deve essere dato prima dell’esecuzione e l’agevolazione di un incontro finale tra il detenuto e i suoi familiari e amici.
L’India ha giustiziato solo 5 persone negli ultimi 21 anni: “Auto” Shankar nel 1995, Dhananjoy Chatterjee nel 2004, Ajmal Kasab nel 2012, Afzal Guru nel 2013 e Yakub Memon Abdul Razak nel 2015.
Almeno 136 nuove condanne a morte sono state comminate nel 2016, quasi il doppio di quelle comminate nel 2015 (70), oltre la metà delle quali per omicidio. Secondo i dati resi noti dal Centro sulla Pena di Morte presso la National Law University di Delhi in tutto, i tribunali hanno emesso 1.790 condanne a morte tra il 2000 e il 2015. A fine 2016 erano 397 i condannati a morte detenuti in varie prigioni dell’India secondo lo studio. Ma sono 325 secondo quanto comunicato al Lok Sabha (Assemblea del Popolo, una delle due camere parlamentari) nell'aprile 2017.
Il numero elevato di condanne a morte non ha portato a un calo del tasso di criminalità nel Paese, ha detto l’Asian Centre for Human Rights (ACHR) in un rapporto dal titolo “India: pena di morte, nessuna deterrenza”, pubblicato il 1° settembre 2014. Al contrario, secondo il rapporto, c’è stato un drastico calo dei casi di omicidio a seguito di una notevole riduzione delle esecuzioni a partire dal 1982, quando la Corte Suprema ha stabilito la “regola del caso più raro tra i rari” per infliggere la pena di morte. “La pena di morte non può mai essere un sostituto di prevenzione, investigazione efficace e tempestiva e sistema rapido di amministrazione della giustizia contro i crimini, requisiti fondamentali su cui il Governo indiano ha fallito”, ha detto il Direttore dell’ACHR, Suhas Chakma, che è anche coordinatore della campagna per l’abolizione della pena capitale in India. Anche l’inclusione della pena di morte per i recidivi di stupro non ha ridotto questo tipo di reati, e la condanna a morte nel settembre 2013 di quattro imputati giudicati colpevoli nel caso dello stupro di gruppo del dicembre 2012 a Delhi non ha funzionato da deterrente, ha aggiunto il rapporto dell’ACHR. Secondo i dati della polizia di Delhi, 616 casi di stupro sono stati registrati a Delhi dal 1° gennaio al 30 aprile 2014, una media di sei casi al giorno.
La pena di morte nei confronti delle donne
Secondo un emenedamento del 2009 al codice penale, una donna incinta non può essere condannata a morte e deve essere graziata.
Secondo il "Death-Penalty-India-Report" del Centre on the Death Penalty pubblicato nel maggio 2016, tra i 373 condannati a morte in India, 361 sono uomini e
12 sono donne.
Le Nazioni Unite Il 19 dicembre 2016, l'India ha votato contro la risoluzione per una moratoria delle esecuzioni capitali all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Il 29 settembre 2017, l'India ha votato contro la risoluzione sulla pena di morte (L6/17) alla 36° sessione del Consiglio diritti umani.