19 Ottobre 2005 :
“Una condanna a morte di Saddam Hussein non sarebbe certo il modo migliore di presentarsi del nuovo Iraq, perché non ci sarebbe soluzione di continuità rispetto al passato”, ha dichiarato Sergio D’Elia, segretario di Nessuno tocchi Caino, nel commentare l’inizio del processo contro l’ex dittatore iracheno.In questo primo processo Saddam, insieme ad altri sette esponenti del vecchio regime baathista, è imputato del massacro di Dujail, cittadina a nord di Baghdad, dove nel 1982 furono trucidati 143 sciiti, all’indomani di un fallito attentato contro l’ex dittatore.
“Saddam si è reso responsabile di migliaia se non di decine di migliaia di esecuzioni capitali e non solo di quelle sommarie”, ha continuato il Segretario di NtC. “Una sua condanna alla pena capitale tradirebbe le ragioni più nobili per cui si è ritenuto necessario intervenire in quel paese e liberarlo dal suo dittatore. Una condanna a morte di Saddam Hussein avrebbe una negatività enorme in particolare sui Paesi europei impegnati nella coalizione, Paesi tutti abolizionisti che si renderebbero “collaborazionisti” di un processo che si concludesse con una condanna “esemplare” alla pena capitale. Sarebbe un tradimento degli statuti, dei trattati, dei principi che ispirano non solo le carte costituzionali dei singoli Paesi europei ma della stessa Costituzione europea che a chiare lettere dice ‘No’ alla pena capitale”.
Sulla possibilità che il processo si trasformi in una vendetta da parte dei vincitori, D’Elia ha commentato: “Le alternative erano due: o il processo interno, ed è stata la scelta fatta; o un processo internazionale, che andava però costruito investendo una corte ad hoc che garantisse il rispetto degli standard internazionali per un giusto processo. Questo doveva essere fatto. E doveva essere sollecitato dai paesi impegnati in Iraq e fatto proprio, attraverso l’Onu, dalla comunità internazionale. Doveva essere questa la strada da imboccare. Ma così non è stato. E anche per ciò che concerne il processo interno, i paesi impegnati in Iraq avrebbero dovuto farsi garanti del rispetto degli standard internazionali per un giusto processo, evitando che il processo finisca per rivelarsi come un regolamento di conti interno. Ricordo che un anno fa Kofi Annan si era rifiutato di impegnare tecnici, strutture, istituzioni dell’Onu per l’addestramento di personale giuridico, magistrati, e tecnici del diritto iracheni, perché, aveva spiegato il Segretario Generale dell’Onu, nell’ordinamento iracheno era contemplata la pena di morte. Si è trattato di una presa di posizione coraggiosa che l’Europa abolizionista avrebbe dovuto far propria e sostenere con forza. Invece si è preferito il balbettio, se non il silenzio. Un silenzio indegno che disonora l’Europa.
Per quanto ci riguarda, anche per Saddam vale il nostro “Nessuno tocchi Caino”. Ciò che difendiamo non è la sua impunità ma la sua incolumità”.
(Fonti: L'Unità, 19/10/2005)