17 Aprile 2021 :
Rita Bernardini su Il Riformista del 16 Aprile 2021
Lo sappiamo, le morti in carcere non richiamano l'attenzione dei grandi media.
Così come siamo coscienti del fatto che se non ci fosse stata la determinazione e il coraggio dei genitori e della sorella di Stefano Cucchi, quella morte sarebbe stata relegata nelle cronache romane, sepolta tra le migliaia di notizie da dimenticare in fretta.
Oggi voglio parlarvi della morte di Mimmo D'Innocenzo, un giovane di 32 anni, avvenuta il 27 aprile del 2017 nel carcere di Cassino. Io ne sono venuta a conoscenza perché mi ha scritto la madre del ragazzo, disperata perché recentemente il sostituto procuratore, dott. Roberto Bulgarini Nomi, ha chiesto l'archiviazione di tutta la vicenda perché gli elementi emersi nel corso delle indagini non sono sufficienti per giungere ad una sentenza di condanna nell'ambito di un eventuale dibattimento. E allora vediamoli questi elementi “insufficienti”.
Mimmo è un ragazzo con un passato di assunzione problematica di sostanze stupefacenti, come ce ne sono a decine di migliaia in Italia. Io ritengo - e non sono sola a fare questa valutazione – che il carcere sia un luogo estremamente pericoloso per questo tipo di persone, le quali dovrebbero essere curate e aiutate ad uscire dalla tossicodipendenza che le porta non di rado a commettere reati collegati con la propria condizione. Accade purtroppo che il carcere sia invece la più probabile destinazione di questi ragazzi, i quali sovente vengono messi in isolamento aggravando così il loro stato psico-fisico.
Mimmo è morto in una cella di isolamento. Come è morto? Cosa è accaduto nella notte fra il 26 e il 27 aprile di quattro anni fa? Secondo i consulenti del Pubblico Ministero (medico legale e consulente tossicologico) Mimmo è deceduto per “insufficienza cardiorespiratoria conseguente ad intossicazione acuta da sostanze esogene di tipo stupefacente individuata dal tossicologo in Buprenorfina principale principio attivo del farmaco suboxone”.
Veniamo ai fatti. Abbiamo un agente di polizia penitenziaria che riferisce di aver accompagnato Mimmo D'Innocenzo in infermeria la sera tardi del 26 aprile: in tutte le deposizioni conferma sempre questa circostanza; lo fa nell'imminenza dei fatti, il 27 aprile del 2017; lo fa il 4 giugno del 2019 e il 14 luglio del 2020 quando viene posto a confronto con l'infermiera in servizio quella notte nel carcere. Abbiamo il medico e l'infermiera di turno i quali interrogati nell'imminenza del tragico decesso affermano all'unisono di “non ricordare” che Mimmo quella notte fosse stato condotto dall'agente in infermeria. Un vuoto di memoria a dir poco sospetto considerato il fatto che non debbano essere molti i detenuti che in orario serale vengono portati in ambulatorio. Vuoto di memoria che non può essere colmato dal registro di accesso all'infermeria dove vengono annotati tutti gli ingressi. Perché? Perché – combinazione - è scomparso proprio il registro del mese di aprile 2017! Elemento “suggestivo” secondo il Pubblico Ministero che porterebbe ad “ipotizzare che tale accesso all'infermeria sia effettivamente avvenuto e che il registro sia stato sottratto al fine di eliminare prova documentale del medesimo accesso; ma, appunto, trattasi di meri elementi suggestivi che non consentono – scrive il PM – in assenza di ulteriori riscontri, di esercitare l'azione penale”. Ma andiamo avanti. Perché ci sono ancora due fatti da rilevare. Il primo: Mimmo aveva un recente buco da iniezione sul braccio, ma la siringa nella sua cella non è mai stata trovata. Il secondo: la telefonata fatta alla madre di Mimmo da un detenuto, ristretto nel carcere di Cassino nello stesso periodo. In data 29 gennaio 2021 questo detenuto confermava che quanto riferito nella telefonata fatta a suo tempo alla madre corrispondeva a realtà. Cosa aveva detto? “So come è andata con Mimmo, gli hanno fatto una puntura la sera prima che morisse, da quel momento è stato sempre peggio e poi è morto”.
Tutto ciò non meriterebbe un approfondimento in un processo penale? Gli “indizi” non appaiono chiari, precisi e concordanti? E' quanto ha chiesto la difesa della madre di Mimmo rappresentata dall'avvocato Giancarlo Vitelli opponendosi alla richiesta di archiviazione.
La madre di Mimmo non cerca il colpevole ad ogni costo, vuole semplicemente che siano accertate le responsabilità – penali, se ci sono – della morte di suo figlio. Sente di doverglielo anche perché suo figlio da detenuto era nelle mani dello Stato e lei non poteva fare niente per aiutarlo e, magari, salvarlo.
Ultima nota. Sono andata a vedere il dossier sulle morti in carcere aggiornato costantemente dalla meritoria associazione Ristretti Orizzonti. Dal 2000 ad oggi nelle carceri italiane sono morti 3.226 detenuti e 1.182 di questi si sono suicidati. Se si va a scorrere l'elenco si scopre che diversi di questi non hanno un nome semplicemente perché il nome non è venuto fuori né dalle istituzioni né dai mezzi di informazione. Nemmeno la morte di Mimmo fino ad oggi aveva un nome, c'era scritto così: Italiano. Nome, sconosciuto. Età, 32 anni. Data, 27 aprile 2017. Cause, da accertare. Carcere. Cassino.
Ciao Mimmo: forza Alessandra. E che la giustizia sia giusta anche per i dimenticati delle carceri.