04 Dicembre 2021 :
Valerio Fioravanti su Il Riformista del 3 dicembre 2021
Un film giapponese del 1968, “L’Impiccagione”, raccontava la storia di un uomo che veniva impiccato, e una volta tirato già dal patibolo si scopre che il cuore batteva ancora. Lo fanno rinvenire e vogliono impiccarlo di nuovo. L’uomo però ha perso la memoria, non ricorda il crimine che ha commesso e, quindi, si crea il dilemma: si può giustiziare un uomo una seconda volta, soprattutto se non ha più memoria di quello che ha fatto?
Nel 2013 Nessuno tocchi Caino aveva riportato che una cosa molto simile era accaduta in Iran: Alireza, impiccato per reati di droga, al momento del funerale si era risvegliato e anche in quel caso le autorità, d’impulso, sostenevano che andasse impiccato di nuovo, perché, si disse, lo Stato deve essere inflessibile. Montarono forti polemiche e l’uomo, che comunque stava molto male, venne risparmiato “per motivi umanitari”.
Sempre in Iran, nel febbraio di quest’anno, portarono una donna al patibolo. Prima di lei avevano impiccato altre persone e Zahra Esmaili, mentre attendeva il suo turno, morì per infarto. Nessuno ritenne di avere l’autorità di disattendere un ordine del tribunale e la donna fu impiccata lo stesso, anche se era già morta. E anche un mese fa, sui siti che seguono la difficile situazione dei diritti umani in Iran, era comparsa una notizia, non ben delineata, di un uomo che sembra fosse stato trovato vivo dopo la sua impiccagione.
Il 28 novembre mattina, in Alabama, in una nazione che ritiene di essere molto più civile dell’Iran, è morto di cancro un uomo, Doyle Hamm, 64 anni, bianco, che tre anni fa era sopravvissuto alla sua esecuzione per iniezione letale. Non che lui fosse particolarmente forte, anzi. Erano i suoi “giustizieri” ad aver sbagliato tutto. Hamm era un tossicodipendente, ed aveva ucciso un uomo durante una rapina. Aveva ammesso il fatto, limitandosi a chiedere le attenuanti per un’infanzia sventurata e le ridotte capacità mentali aggravate dall’abuso di sostanze.
Il lungo passato di tossico e due chemioterapie per un cancro al cranio e un linfoma in fase terminale avevano indotto molti a prevedere che le vene di Hamm sarebbero collassate prima di riuscire a veicolare il cloruro di potassio dentro il cuore, per fermarlo definitivamente.
Il procuratore generale ha disatteso il parere di tutti i medici consultati, limitandosi a sostenere che nel corpo umano le vene sono tante e una adatta doveva pur esserci. In fin dei conti doveva resistere, la vena, solo due o tre minuti. E a chi consigliava allo Stato che sarebbe stato più semplice attendere l’ormai imminente morte naturale del reo, le corti di grado più alto risposero che quello non era un argomento “giuridico” e, quindi, non sospesero il mandato di esecuzione.
Alle 9 di sera, il 22 febbraio 2018, Hamm è stato legato a una barella e gli agenti hanno iniziato a inserire aghi nelle sue vene, vene che regolarmente si rompevano, riempiendo il condannato di ematomi, ma soprattutto rendendo chiaro che i 3 farmaci, prima un narcotico leggero, poi uno pesante e infine il veleno, non avrebbero circolato. Dopo 2 ore e mezzo, dopo aver perforato per sbaglio anche la vescica, dopo aver danneggiato tutte le vene, gli agenti hanno mostrato segni di fortissimo stress (così narrano le cronache, che non accennano a un altro stress che si presume non fosse lieve, quello di Hamm), ed è intervenuto un funzionario: la mezzanotte era ormai prossima e la legge vuole che il condannato muoia nel giorno prefissato, non in un altro. L’esecuzione è stata sospesa, o come dicono in America, “abortita”.
Un gruppo di giornali ha fatto causa allo Stato, chiedendo di avere più informazioni su come viene selezionato e formato il personale, ed altre cose che invece le amministrazioni preferiscono tenere segrete. Una giudice federale assegnò il primo round della contesa ai media: “Il modo in cui l’Alabama compie le sue esecuzioni è una questione di grande interesse pubblico, e, valutando le leggi del nostro stato, il diritto che ha l’opinione pubblica di conoscere è superiore al diritto dell’Amministrazione di nascondere”.
Lo Stato, in difficoltà, ha raggiunto un accordo “informale” con i media: per Hamm si sarebbe attesa la morte naturale e loro, almeno per un po’, avrebbero smesso di fare domande scomode. I giornali, che almeno loro hanno mostrato un poco di pietà per Hamm, avevano accettato il compromesso. Ma dalle ultime parole di Hamm capiamo che qualcun altro aveva avuto compassione: la dottoressa Connie Uzel, l’oncologa, paracadutista, canoista, madre di tre figlie, che Hamm ha voluto ringraziare per averlo assistito gratuitamente in questi ultimi anni. E, così come Pannella avrebbe ringraziato quel giudice che ha scritto che il diritto a conoscere è superiore al diritto a nascondere, Nessuno tocchi Caino ringrazia, qui, la dottoressa Uzel, in parte per la sua scienza, ma molto di più per la sua coscienza.